Roma, 14 dic – Tra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono rimasti sostanzialmente fermi con una crescita dell’1% a fronte del 32,5% in media registrato nell’area Ocse: è quanto emerge dal Rapporto Inapp presentato oggi.
Salari fermi da 30 anni
Bassi salari, poca formazione, welfare debole: secondo il rapporto dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche l’invecchiamento della popolazione in Italia va di pari passo con quello della forza lavoro. “Una prima criticità – spiega il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda – è costituita dalla questione salariale. La distribuzione funzionale del reddito, il cui andamento storico in Italia mostra una caduta crescente della quota dei salari sul Pil e una crescente quota dei profitti, si è ormai stabilizzata su valori (rispettivamente del 40% e del 60%) che configurano un modello di crescita profit led”. Va posto in rilievo – spiega ancora – l’andamento dei salari reali nel nostro Paese, che, confrontato con quello degli altri Paesi europei, si rivela nei tempi recenti addirittura in diminuzione rispetto al 2020, a fronte di incrementi sostanziali negli altri Paesi”. Ha inciso chiaramente la fiammata inflazionistica. In Italia inoltre sta emergendo un altro fenomeno che, secondo l’Inapp, “deve preoccupare i responsabili della politica economica: si tratta del cosiddetto ‘labour shortage’, ossia della carenza di lavoratori. Esso si manifesta con la difficoltà dei datori di lavoro a coprire i posti vacanti”.
La soluzione non è mai stato il salario minimo
Quanto emerso dal rapporto è la constatazione che nemmeno la contrattazione collettiva è riuscita ad imporre un rialzo dei salari. Ma piuttosto che fissare un minimo invalicabile, a cui poi non corrisponde un potere d’acquisto reale, il problema resta quello di potenziare proprio la contrattazione che in Italia – seppur costituzionalmente garantita – non gode di riconoscimento giuridico (le aziende non sono obbligate a rispettarla). Dobbiamo invece lanciare una sfida tra “salario minimo” da una parte e CCNL rinnovati alle loro scadenze naturali, contrattazione di secondo livello e per filiera, riconoscimento giuridico delle organizzazioni sindacali, come previsto dall’articolo 39 della Costituzione. Tutto questo con il fine implicito di implementare forme di partecipazione strutturata rispetto a forme di intervento che non necessitano alcun coinvolgimento dei corpi intermedi in genere e dei lavoratori in particolare, applicando in questo caso l’articolo 46 che prevede il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Sergio Filacchioni