Roma, 21 nov – Il dibattito che sta interessando l’opinione pubblica, in seguito alla terribile uccisione di Giulia Cecchettin, ha assunto sempre più contorni allucinati. Prova ne sia il botta e risposta tra Lilli Gruber e Giorgia Meloni, con la giornalista che ha attaccato il presidente del Consiglio accusandola di esprimere una cultura patriarcale.
Lo scontro tra Gruber e Meloni
Interpellando Francesco Specchia di Libero, la conduttrice di Otto e mezzo, ha detto: “Tu non potrai negare che in Italia ci sia forte cultura patriarcale e che questa destra destra al potere non la sta proprio contrastando tanto”. Per poi aggiungere: “Sì, abbiamo una donna come presidente del Consiglio, però ci tiene a essere chiamata ‘il’ presidente del Consiglio, per me un mistero della fede. Sarà anche questa una cultura di destra patriarcale?”. Commenti a cui la diretta interessata ha risposto in questo modo: “Non so come facciano certe persone a trovare il coraggio di strumentalizzare anche le tragedie più orribili pur di attaccare il governo. Ora la nuova bizzarra tesi sostenuta da Lilli Gruber nella sua trasmissione di ieri sera è che io sarei espressione di una cultura patriarcale. Come chiaramente si evince da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di ‘cultura patriarcale’ della mia famiglia. Davvero senza parole”. La foto in questione, postata dalla Meloni sui propri social, la ritrae insieme alla figlia, alla mamma, e alla nonna. Ad avere l’ultima parola è però la Gruber, che prima ringrazia la premier “per l’attacco che considero una prima dimostrazione della sua volontà di aprire un dialogo costruttivo con la stampa, un esercizio di democrazia al quale lei è poco abituata”; poi trincerandosi in un comodo vittimismo: “Ritengo comunque che sia sempre pericoloso, per il buon funzionamento democratico, quando un/una presidente del Consiglio attacca direttamente la stampa e singoli giornalisti. Per fortuna, il diritto al pensiero libero e critico è ancora ben tutelato dalla nostra Costituzione”. Insomma, nonostante i proclami ad apparire allergica al confronto è proprio la giornalista di Otto e mezzo. Anzi, sembra il classico caso di chi lancia il sasso e nasconde la mano.
Un’accusa che non regge
Tuttavia sarebbe sbagliato leggere l’intera faccenda semplicemente come una brutta figura della Gruber per eccesso di foga inquisitoria. Sono le stesse basi del discorso a non avere senso. La cosiddetta cultura patriarcale rimane nel discorso pubblico una sorta di chimera, di colpevolizzazione collettiva, di grimaldello polemico fine a sé stesso. Un concetto che non descrive nulla e che se descrive qualcosa, ovvero il predominio dell’uomo sulla donna, difficilmente supera un esame di realtà. Anzi, parlare in questi termini di patriarcato significa disconoscere l’eccezionalità e il valore del rapporto fra uomo e donna per come si è costruito nella cultura europea. Contrariamente a chi distingue in questa polarità come passivo (e quindi sottomesso) il principio femminile, Dominique Venner svela in Storia e tradizione degli europei come nella nostra cultura la femminilità assuma un ruolo di ricettività e indipendenza, complementare e paritario rispetto all’uomo, di cui la massima rappresentazione è forse il fine amour o amor cortese.
Michele Iozzino