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Meloni e la “vera Seconda Repubblica”: perché sarebbe fondamentale riformare davvero le istituzioni

by Stelio Fergola
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Meloni Terza Repubblica

Roma, 30 ott – Giorgia Meloni parla di “Terza Repubblica”, riferendosi alle riforme istituzionali di cui, praticamente dall’inizio, si promettono dal gabinetto di centrodestra.

Meloni e la “Terza Repubblica”

Il premier così ha parlato alla convention della Dc a Saint Vincent organizzata da Gianfranco Rotondi:
“Abbiamo sulle nostre spalle una responsabilità storica: consolidare la democrazia dell’alternanza e accompagnare finalmente l’Italia, con la riforma costituzionale che questo Governo intende portare avanti, nella Terza Repubblica“. In questa affermazione c’è un errore piuttosto grossolano ma perdonabile, dal momento che la cultura giornalistica mainstream lo ha diffuso a macchia d’olio in questi decenni puntando sull’epoca storica indiscutibilmente diversificata rispetto al passato: l’idea che ci sia stata una “Seconda Repubblica”. Espressione, appunto, puramente giornalistica, dal momento che nel 1994 non c’è stata alcuna modifica istituzionale: l’Italia di oggi è una Repubblica parlamentare che funziona nello stesso ed identico modo di quella inaugurata nel 1948. Non ha subito alcun cambiamento strutturale – come, ad esempio, quello verificatosi in Francia ai tempi di Charles De Gaulle – dunque non esiste alcuna ragione tecnica per pensare di essere passati davvero a una “Seconda Repubblica”. Se non in termini puramente storici, registrando un cambio di classe dirigente massivo, ma insomma, niente che muti il funzionamento del meccanismo. Per cui, se mai Meloni riuscirà a riformarla, si potrà parlare di una “vera Seconda Repubblica”. Che probabilmente a livello giornalistico sarà definita erroneamente come “Terza”.

Un governo senza risultati: ma la riforma istituzionale serve a tutti, ecco perché

A prescindere dalle ovvie critiche a un esecutivo che in un anno di mandato si è dimostrato preoccupato solo di non irritare sinistra, politicamente corretti vari, Ue e Usa su praticamente tutte le questioni (pena un solo risultato utile: non riuscire a fare niente di tangibile e rimanere al palo) le due riforme che sta perseguendo – almeno a parole, per ora, speriamo che arrivino anche i fatti – Meloni sono assolutamente vitali, come su queste pagine abbiamo sottolineato in più di un’occasione. Parliamo, sostanzialmente, di riforma della Giustizia e di mutamenti strutturali nei rapporti tra Parlamento e Governo. La prima agisce su uno degli elementi strutturali che impedisce al Paese di avere una politica propria: lo strapotere della magistratura. Lo abbiamo visto in particolar modo sulle questioni riguardanti l’immigrazione (ma anche in tanti altri ambiti che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede): le toghe vanno quasi sempre a senso unico, annullando addirittura provvedimenti come il trattenimento dei clandestini nei Centri per il rimpatrio, ma anche molto altro, se pensiamo che dai tempi della Bossi Fini di vent’anni fa hanno sempre lavorato per rendere quanto meno inefficaci le norme contro l’immigrazione di massa e clandestina. I giudici guidano la politica, è un dato di fatto, storico ed endemico.

La seconda riforma essenziale riguarda la “finta Terza Repubblica” di cui parla la Meloni, che poi sarebbe una “Seconda” reale, ammesso che si riesca a superare o a limitare il parlamentarismo e l’impossibilità per un esecutivo di svolgere praticamente qualsiasi mansione se non in modo raffazzonato e fangoso. Correzione: quasi tutte le mansioni, dal momento che per i dikat di Bruxelles non c’è alcun problema o alcun meccanismo arzigogolato che tenga: lì le Camere partitarie, il governo che non conta nulla, i celebri “ping pong” legislativi magicamente spariscono. Ma se un domani qualcuno di ben più “dissidente” della Meloni dovesse arrivare a Palazzo Chigi, servirebbe come il pane la loro scomparsa. Va da sé che un premierato al posto di un presidenzialismo autentico sarebbe una ennesima riformina – ammesso e non concesso di riuscire ad approvarla – ma sarebbe comunque un passo avanti in una struttura inossidabile e deleteria che ha prodotto gran parte dei mali della nostra politica: come “palestra” senza responsabilità, pedagoga solo della tendenza ai ricatti e della assoluta mancanza di autorità, salvata nella cosiddetta “Prima Repubblica” solo da un dato partitico: il dominio incontrastato della Dc come partito di governo. Ovvero una tendenza – del tutto elettorale e non strutturale – in grado di compensare governi che, allora come oggi, cadevano come mosche.

Stelio Fergola

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