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Nazionale e grandi attaccanti: una storia d’amore tormentata

by Marco Battistini
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nazionale attaccanti

Roma, 8 ott – Si dice che in proporzione l’errore del portiere – o, in misura leggermente minore, del difensore – pesi di più rispetto a quello dell’attaccante. Non fatelo sapere ai tifosi della nazionale: dai gol sbagliati di Del Piero nella finale di Euro 2000 all’occasionissima gettata alle ortiche da Berardi nel più recente spareggio mondiale contro la Macedonia, l’ultimo quarto di secolo azzurro ci ha detto il contrario. Ovvio, l’errore fa parte del gioco e capiremo sempre di più un Bobo Vieri che da due passi la spara alle stelle (Corea del Sud, 2002) rispetto ai buchi nell’acqua degli onesti mestieranti Zaza e Pellé – nel 2016 dagli undici metri facemmo (sor)ridere la Germania. Insomma, pare che quella con i grandi attaccanti per l’Italia sia da sempre una storia d’amore alquanto tormentata. Anche nei numeri.

Le reti? Oggi arrivano da dietro

L’annoso problema del centravanti l’abbiamo già trattato un anno – e spicci – fa. Ad esclusione del generoso Immobile (diciassette centri, ma nonostante diverse guide tecniche il suo rendimento azzurro non è minimamente paragonabile a quello biancoceleste) i soli Chiesa e Raspadori hanno segnato quanto i colleghi degli altri reparti: cinque reti, come Pessina. Con Barella a quota otto – ma il versatile centrocampista sardo non la butta dentro da oltre un anno – seguono a tre marcature Frattesi, Locatelli e Di Lorenzo. Una mezzala, un regista e un terzino. Lo stesso Scamacca – sul quale chi scrive ripone “qualche” speranza – è inchiodato allo zero dopo undici gettoni.

Una curiosa statistica

Numericamente i convocabili sono quelli che sono. Ed è vero, una volta il mazzo da cui scegliere era decisamente più corposo. Oltre ai campioni propriamente detti riuscivamo sovente a pescare qualche jolly, come il laborioso Luca Toni tra le qualificazioni mondiali e la vincente competizione iridata del 2006. Statistiche alla mano notiamo però un fatto alquanto curioso: con la maglia della nostra amata nazionale nessun attaccante – in termini di presenze – è mai riuscito a darsi una certa continuità.

Il podio del pallottoliere recita così: Buffon 176, Cannavaro 136, Maldini 126. E poi scendendo tra i centenari Bonucci, Chiellini, De Rossi, Pirlo e Zoff. Ossia due portieri, quattro difensori, un regista e un mediano. Il primo attaccante – appena fuori dai dieci con più gettoni – è Alessandro Del Piero, che si è fermato a quota 91. Dopo di lui il vuoto, almeno fino alla ventitreesima posizione, dove troviamo Sandrino Mazzola (70) che, a dirla tutta, proprio centravanti non era. Per trovare una punta che abbia vestito l’azzurro negli anni ‘90 scendiamo fino a Vialli – 59, trentaduesimo in graduatoria. Appena sotto, e qui siamo nel nuovo millennio, ci sono i campioni del mondo Totti (58), Gilardino e Filippo Inzaghi – entrambi a 57. Stesse presenze per Ciro Immobile, centravanti del presente ma per ovvie ragioni anagrafiche non del futuro.

Grandi attaccanti, le altre nazionali

Andando a spulciare nelle statistiche delle nostre dirette concorrenti la situazione è totalmente differente. I cugini francesi, ad esempio, hanno tra i cinque atleti più presenti Giroud, Henry e Griezmann (sono anche i tre giocatori con più reti, e Mbappé li sta raggiungendo di corsa). Trio di attaccanti anche per la Germania – Klose, Podolski e Thomas Müller. Nella Spagna dei palleggiatori Fernando Torres è in nona posizione, Rooney medaglia d’argento per quanto riguarda l’Inghilterra. Volando in Sud America – sempre in termini di presenza con la maglia della propria nazionale – anche Neymar ha raggiunto la seconda posizione: in Brasile comunque tra i dieci verdeoro con più gettoni presenziano anche Robinho e Ronaldo. In Argentina – manco a dirlo – primeggia Messi (quarto l’ex juventino Di Maria, esterno altamente offensivo).

Un cambiamento radicale

Secondo Maurizio Viscidi, intervistato qualche mese fa da ‘La Stampa’, «alleniamo solo al possesso palla» perdendo così qualità in attacco. Gli attaccanti in pratica si riducono a muri, sponde. Continuando con il coordinatore delle nostre selezioni giovanili, questa tendenza «favorisce la crescita dei centrocampisti a discapito delle punte: attaccare il campo verso la porta avversaria è una rarità». Un problema storico e, se vogliamo, culturale. Ora, essendo estranei a ogni forma di fatalismo, sappiamo che il corso degli eventi – anche nel calcio – è sempre tutto da scrivere. Nulla, insomma, è irreversibile. La questione andrebbe quindi affrontata alla radice, ossia (anche) nel modo di allenare i ragazzi fin dai vivai.

A proposito di numeri: chi sono gli attaccanti italiani più prolifici della storia? Riva, Meazza e Piola. Tra i tre, il più giovane – Rombo di Tuono – ha appeso gli scarpini nel lontano 1976. Come a dire: prima di essere un popolo di rocciosi difensori e intelligenti centrocampisti, eravamo una nazione di immensi centravanti. Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…

Marco Battistini

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