Hanno agito come una vera forza d’assalto con un’azione ben congegnata che ha potato la guerriglia islamista dell’Isis fin dentro il territorio egiziano colpendo, secondo quanto afferma lo stato islamico ben « quindici obiettivi nemici».
Nella mattinata di ieri la zona di confine di Sheikh Zuweid, governatorato nell’estremo est dell’Egitto è stata assediata dalle milizie dell’Isis che hanno colpito anche la città di Rafah, unico valico per la striscia di Gaza. Sono riusciti a portare a termine ben tre attacchi suicidi che hanno causato decine di morti tra civili e forze di sicurezza egiziane.
Le prime valutazioni parlano di una settantina di miliziani probabilmente appartenenti alla formazione terroristica di “Bayt al-Maqqdis”, il gruppo jihadista che opera nel Sinai e che ha giurato fedeltà al Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Nel capoluogo del governatorato, Sheikh Zuweid la stazione di polizia è stata attaccata con razzi e lanciagranate e l’arrivo dei rinforzi governativi è stato reso estremamente difficile dalle mine che i terroristi hanno posto su tutte le strade attorno ai loro obbiettivi.
Anche le città di El Arish e Rafah hanno subito degli attacchi. «L’Egitto è in stato di guerra» come ha dichiarato il Premier Ibrahim Mahlab commentando quella che sembra essere la più vasta offensiva militare lanciata dall’Isis nel nord del Sinai fino a questo momento, e che ha visto i terroristi utilizzare efficacemente armi anti carro contro i mezzi della polizia. Si è combattuto per tutto il giorno e a sera la bandiera nera del califfato sventolava ancora sulla caserma della polizia a Sheikh Zuweid segno inequivocabile dell’espansione militare dell’Isis anche in Egitto.
Ma un interrogativo sembra ora farsi largo tra analisti militari ed esperti del terrorismo marcato Isis: da dove arrivano i terroristi?
Di sicuro una così larga operazione, con quasi cento uomini sul campo, ha necessitato di mesi di pianificazione e soprattutto di luoghi sicuri dove addestrarsi e stoccare il materiale fino al momento dell’attacco. In pratica di cosiddetti “santuari” cioè quei luoghi in cui le organizzazioni terroristiche fanno base preferendoli perché difficili da raggiungere per le forze di sicurezza o perché in quei luoghi mantengono il controllo militare e politico o perché addirittura questi luoghi si trovano al di la di una frontiera che impedisce alle truppe nemiche, in questo caso gli egiziani, di intervenire.
Storico fu il caso dei santuari Vietcong in Cambogia, dove i vietnamiti, protetti dall’impenetrabile giungla, riuscivano a far transitare migliaia di uomini e addirittura l’artiglieria pesante. Ne fecero le spese, i francesi a Dien Bien Phu che in una notte si trovarono sotto il fuoco di mortai “magicamente” trasportati a spinta e in silenzio da chissà dove. Provarono a distruggerli poi gli americani bombardando in segreto la neutrale Cambogia colpevole di ospitarne la maggior parte.
Ma oggi dove sono questi nuovi santuari del califfato? È possibile che i miliziani dell’Isis riescano a valicare quei confini che per anni hanno segnato i limiti , geografici e non della geopolitica mediorientale?
Nell’intricata “questione siriana” il problema dell’estrema facilità con cui le milizie accedono da “safe zones” in territori non siriani è tema di continua discussione, che addirittura che afferma che i feriti del califfato vengano accompagnati e curati in cliniche israeliane e giordane e che si godano licenze da mille e una notte in hotel stellari negli emirati. Le prove di tutto questo si perdono spesso nell’aspra lotta d’informazione e disinformazione che anima ogni conflitto dei nostri giorni dall’Ucraina al Niger.
Non è possibile ovviamente, ad oggi, additare colpevoli e complici qualora ce ne siano, ci restano soltanto le mappe, le cartine e i fatti che sono importantissimi, perché esistono.
A differenza della verità.
Alberto Palladino
1 commento
E’ la stessa domanda che mi sono posto appena saputo dell’attacco alle posizioni egiziane, e sono arrivato ad avere una mia modesta idea, forse strampalata.
1. I militanti sono arrivati via Egitto un po’ per volta provenienti dalla Libia o dall’Egitto stesso o da qualunque altro Paese. Avranno attraversato i confini travestendosi da umili agnelli. Si legge spesso, infatti che durante gli attacchi le prime ondate di sfondamento spesso vestono divise degli attaccati.
2. Il problema è invece più complicato per gli armamenti. Sono stato in Libia ed Egitto per lavoro, o meglio risiedevo in Libia e, sempre per lavoro, qualche volta andavo in Egitto. Diciamo che i controlli alla frontiera non sono così capillari ma comunque ci sono e credo oggi più di ieri. Quindi oserei dire che forse i militanti abbiano organizzato delle cellule operative nella striscia di Gaza ed abbiano poi attraversato in confine con i materiali attraverso i noti tunnel che, nonostante molti ne siano stati distrutti, alcuni devono essere ancora operativi.
Cordialmente Giuseppe