Dieci anni fa, lo storico, intellettuale ed ex quadro militante nazionalrivoluzionario francese, Dominique Venner, si dava la morte a Notre-Dame. La stampa parlò di un «attivista anti-gay» (in quei giorni in Francia erano in corso le proteste della Manif pour tous contro il «matrimonio egualitario»), dando l’idea di una persona ossessionata e accecata da un odio paranoico. Poi, come sempre accade, semplicemente la notizia perse di importanza e molti neanche si accorsero che, quel giorno, a Parigi, era successo qualcosa. Una minoranza di militanti, dispersa in tutta Europa, colse però in modo immediato il messaggio di quel sacrificio.
Questo editoriale è stato pubblicato sul Primato Nazionale di maggio 2023
Anche da vivo, i benefici apportati da Venner al mondo del pensiero non conforme europeo erano già stati immensi. Anche se molti non lo sanno. L’importanza di un pensiero strutturato e di un metodo d’azione non improvvisato, il tema dell’Europa e delle origini indoeuropee, la riscoperta delle nostre radici pre-cristiane, la valorizzazione della diseguaglianza umana, anche sulla scorta delle conclusioni di certa scienza contemporanea – tutte queste cose che per molto tempo sono apparse scontate nel mondo nazionalrivoluzionario, le dobbiamo anche e soprattutto a Venner, che traghetterà poi tali suggestioni nell’ambiente che verrà ribattezzato Nouvelle Droite. Se vogliamo, Venner ha fatto in ambito storico e militante ciò che Giorgio Locchi, negli stessi anni e negli stessi ambienti, ha fatto in campo filosofico.
Il (vero) testamento di Venner
Va detto che, anche a destra, non sono mancati gli equivoci su quel gesto. Le critiche «amiche» sono state essenzialmente di due tipi. Innanzitutto alcuni ambienti cattolici sono rimasti perplessi per la scelta del luogo: perché un autore dichiaratamente affine al paganesimo ha scelto una cattedrale cattolica per darsi la morte? Alcuni vi hanno visto una specie di profanazione. Polemica comprensibile, ma di corto respiro: scegliendo Notre-Dame, Venner ha voluto omaggiare la continuità millenaria dell’esperienza del sacro europea, al di sotto delle vesti confessionali. Certo un gesto di quel tipo in una chiesa può turbare i fedeli e interrompere una routine religiosa, ma non sono gli stessi cattolici a lamentare la natura convenzionale, irriflessa e ipocrita della frequentazione delle chiese da parte di troppi cristiani? Uno choc, in questo senso, può anche essere salutare.
Una seconda critica è quella, di natura più cinica, di chi ha accolto con sufficienza l’atto di Venner, considerandolo il solito beau geste romantico, ma fine a se stesso. «Se tutti lo imitassero», abbiamo sentito dire spesso, «la battaglia identitaria finirebbe per mancanza di militanti vivi». Di nuovo, una critica fuori fuoco: l’eroe, il martire, il santo, sono esemplari proprio in quanto eccezionali, fuori norma. Non vogliono essere imitati letteralmente, ma infiammare i cuori. Questo numero del Primato vuole essere l’umile testimonianza che quella fiamma era e resta accesa.