Roma, 10 mag – Riforme e sinistra non vanno bene nella stessa frase, e questo si sa da decenni. Fa abbastanza ridere però come anche i partiti di quella area politica ufficialmente siano favorevoli a un cambiamento istituzionale quando poi, alla prova dei fatti, non va bene mai niente. La giornata di consultazioni conclusasi ieri mette in evidenza ancora una volta questa triste realtà.
Riforme, alla sinistra non va bene neanche il premierato
Potremmo riassumere così: no al presidenzialismo, no al semipresidenzialismo, no al premierato. E la domanda potrebbe sorgere spontanea: ma allora un “sì” su cosa ci potrebbe essere? Risposta: sulla legge elettorale. Avete letto bene: solo sulla legge elettorale. Ovvero, un aspetto che di strutturale non ha praticamente nulla, cambiato più volte negli ultimi decenni ma che non può mutare certamente il precario equilibrio dei rapporti tra governo e Parlamento. Almeno questo ha riferito Elly Schlein, come riporta l’Ansa, dopo essere stata a colloquio con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Così aveva detto anche Giuseppe Conte, limitandosi a parlare di “undici proposte” inviate al capo del governo e indirizzate più che altro a concetti come i vincoli di mandato e alla maggiore partecipazione dei cittadini: niente che riguardi un minimo di linea gerarchica nelle decisioni della politica, da quasi 80 anni vincolata a un tutti contro tutti incapace di produrre non solo la tanto enfatizzata “stabilità”, su cui ha insistito ancora il premier, temperata un minimo negli anni della cosiddetta prima Repubblica soltanto da una stabilità partitica che vedeva la Democrazia cristiana costantemente in sella e, di conseguenza, capace per lo meno di mantenere una visione di lungo periodo sulle scelte da operare. In ogni caso, se la stessa Schlein cerca di uscirne anche in modo ufficiale, dichiarando che “le riforme non sono una priorità” c’è ben poca ciccia su cui lavorare, per dirla in gergo comune.
Una scenetta tristissima
È la solita scena. Se c’è una cosa che a destra hanno sempre cercato, anche al governo, sono le riforme. A sinistra, eccezion fatta per la parentesi di Matteo Renzi, la stessa definizione di riforma è una parolaccia impronunciabile. E pure quando l’attuale leader di Iv teneva le redini del Nazareno, fu ostacolato nel suo progetto di riforma dalle dissidenze interne forse più che dalle opposizioni da centrodestra, quindi, forse, ci sarebbe da discuterne. Si salva il cosidetto e presunto Terzo Polo, dove guarda caso ci sono proprio i “transfughi” di quell’ultimo tentativo. Ma anche lì di spazio ce n’è poco, volto alla possibilità del premierato (tanto per cambiare la più debole delle proposte sul piatto), nonché del superamento del famigerato bicameralismo perfetto, ma che non permetterebbe in ogni caso di votare la riforma in Parlamento, visto che i numeri dei centristi non consentirebbero di arrivare ai due terzi dell’assemblea.
Stelio Fergola