Roma, 16 giu – A circa tre mesi dall’inizio della Coppa del mondo di rugby, che si disputerà in Inghilterra a settembre, si manifesta in tutta la sua reale portata la divisione tra nazionale maggiore e federazione. Il ritiro di Villabassa (Bolzano), è stato sospeso dopo appena 24 ore: giusto il tempo di radunare tutti i convocati e dar modo a Parisse e compagni di esprimere la loro posizione. La guerra di comunicati stampa avviata nella mattinata di ieri è servita solo a rimpallare le responsabilità della situazione e a porre all’attenzione dei media il problema, con particolare enfasi per un aspetto in fondo marginale: si sono ammutinati i giocatori o è stata la Fir a sospendere il raduno?
I fatti dicono che l’opzione corretta sia la seconda ma è un po’ come discutere del sesso degli angeli. Allo stesso modo non sarebbe corretto ridurre il tutto a una mera questione economica, basata sul compenso per la trasferta anglosassone. Quello dei soldi è certamente un aspetto fondamentale ma non si discute del quanto pagare, bensì del come e del perché. La Fir, nella figura del presidente Gavazzi, ha proposto dei compensi adeguati ai risultati conseguiti sul campo. I giocatori, dal canto loro, rispondono che l’epoca del dilettantismo è terminata da tempo e che una spedizione Mondiale si affronta con basi solide e certezze, non solo economiche ma anche tecniche e organizzative.
Qui si solleva il coperchio della pentola, e il contenuto non è certo dei migliori. Si potrebbe fare appello all’etica sportiva, all’attaccamento alla maglia, alla retorica ormai un po’ stantia della superiorità morale del rugby. Il punto è che la Fir è la seconda federazione più ricca dopo la Figc, ha un ruolo centrale nelle dinamiche del Coni e si trova a gestire milioni di euro di diritti tv, legati principalmente al Sei nazioni. È in questo contesto che deve essere inserita la presa di posizione dei giocatori, stanchi di dover sopperire alle mancanze federali, di essere esposti a probabili figuracce in campo, dovendo risponderne anche a livello mediatico.
La Federugby è, da decenni, una sorta di partecipata ingrassata dai finanziamenti pubblici. Un carrozzone nel quale i quadri dirigenti sono intoccabili e gli altri tesserati, società, tecnici e atleti, sempre pronti a essere messi in discussione. Ancora una volta arriviamo alla vigilia di un Mondiale con la consapevolezza di aver chiuso un ciclo. Comunque vada Brunel verrà sostituito, un buon numero di senatori darà l’addio alla maglia azzurra, i giovani avranno il posto assicurato perché non abbiamo un vivaio che alimenti la concorrenza interna ad alto livello. Aggiungiamo un girone infernale che, dati alla mano, riduce al minimo la possibilità di raggiungere una storica qualificazione ai quarti di finale e il quadro appare drammatico. Al punto da indurre Parisse e compagni a mettere necessariamente in chiaro alcuni punti prima di consegnarsi, ancora una volta, come vittime sacrificali. In un palcoscenico internazionale nel quale l’onta della sconfitta ha un prezzo, etico ed economico.
Francesco Pezzuto