Ankara, 8 giu – Si può vincere una elezione con il 40% dei voti e accogliere il risultato come se fosse una bruciante sconfitta? Di sicuro questo è quello che è appena successo a Recep Tayyip Erdogan, premier turco che vede il suo partito, l’Akp, confermarsi come il più votato del Paese, appunto con il 40% dei consensi.
La tornata elettorale, tuttavia, era solo formalmente una normale elezione politica: di fatto Erdogan cercava il plebiscito per ottenere dei poteri straordinari e trasformare l’autoritaria democrazia turca in un sultanato di fatto, come avevamo scritto alla vigilia.
Il plebiscito, tuttavia, non c’è stato.
Erdogan voleva il 60%, si è dovuto accontentare di molto meno. Adesso, però, il futuro del Paese è a un bivio. Non avendo la maggioranza assoluta, Erdogan dovrà cercare alleati e fare un governo di coalizione: non proprio l’ideale per chi sperava al contrario di avere sempre più potere e autonomia.
Gli altri partiti sulla scena sono il kemalista Chp, che ha preso il 25% dei suffragi, il nazionalista Mhp oltre il 16% e soprattutto il filo-curdo Hdp, che con il suo 13% ha superato la soglia di sbarramento ed entrerà per la prima volta in Parlamento con 78-80 deputati. Per Erdogan l’unico possibile alleato è l’Mhp, che per il momento però frena. Possibile anche lo scenario dei tre partiti di minoranza che si alleano in funzione anti-Akp, anche se l’eventualità è ritenuta remota.
C’è anche chi sostiene che in Turchia dovranno essere convocate elezioni anticipate se l’Akp non dovesse trovare un accordo per formare un governo di coalizione con gli schieramenti rivali.
Il successo dell’Hdp pone inoltre in primo piano la questione curda. Il partito viene definito “il Podemos curdo” e il suo leader Salahattin Demirtas, l’Obama o lo Tsiprs curdo. Paragoni che dicono tutto dell’impostazione del movimento. Si tratta di un partito che ha fatto proprie le idee della rivolta nel 2013 dei ragazzi di Gezi Park.
Ovviamente gli sviluppi della vicenda andranno seguiti da vicino non solo perché riguardano 75 milioni di persone che vivono a cavallo tra Europa e Asia, ma anche per l’alta posta in gioco. In Turchia vige la costante e spesso non peregrina paura del golpe, cosa che porta molti sostenitori di Erdogan a chiudere gli occhi sulla corruzione endemica che vige all’ombra del governo dell’Akp.
Erdogan stesso gioca su più tavoli, spesso in maniera indecifrabile: pro e contro l’Isis, pro e contro la Nato etc. La vicinanza con la Siria e Israele, nonché i buoni rapporti con la Russia, fanno di Ankara una pedina cruciale negli assetti geopolitici internazionali. E l’incertezza che accompagna questa elezione potrebbe favorire chi ha interesse a destabilizzare il Paese.
Roberto Derta