Roma, 28 mag – L’incubo di Roberto Berardi continua: il nostro connazionale, detenuto ingiustamente in Guinea Equatoriale, doveva essere scarcerato lo scorso 19 maggio e invece il paese africano ha deciso arbitrariamente di prolungare l’agonia di Berardi almeno sino al prossimo 7 luglio.
Parliamo di agonia perché Roberto vive in una cella lurida e buia di 2 mq, all’interno della quale ha già contratto, nel corso dei mesi, la febbre tifoidea ed un enfisema polmonare. Berardi è stato sottoposto costantemente a torture di ogni genere (tra le altre cose è stato frustato centinaia di volte); per tutta la durata della sua detenzione gli è stato assegnato un solo pasto al giorno, ad esclusione del weekend, in cui non ha mai ricevuto cibo.
La famiglia, dopo 2 anni di calvario, sperava di poter riabbracciare il proprio caro, ma l’ennesima ingiustizia della Guinea adesso li ha resi disperati. Qualcuno inizia anche a mormorare che il vero obiettivo del dittatore di quel paese sia far morire Berardi in cella, per non permettere che sveli tutta la verità sul caso che lo riguarda.
Ma facciamo un passo indietro e scopriamo davvero chi è Roberto Berardi e cosa sta succedendo in Guinea Equatoriale. Roberto era un brillante imprenditore che in Africa aveva costruito strade, ponti, dighe e palazzi, creando tantissimo lavoro per le popolazioni centrafricane. Aveva insomma saputo conciliare la logica del profitto con la volontà di aiutare seriamente dei paesi in estrema
difficoltà (in Guinea ad esempio si vive con meno di 2 dollari al giorno).
Questo era riuscito a farlo sin quando, malauguratamente, scelse di mettersi in affari con il figlio di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, attuale dittatore della Guinea. Subito dopo aver trovato l’accordo, scoppiò un grosso scandalo finanziario che vedeva coinvolto anche il figlio di Mbasogo: Berardi divenne la vittima designata per proteggere la rispettabilità della famiglia presidenziale, e così, dopo un processo farsa, degno solo dei peggiori tribunali sovietici, venne condannato a due anni di reclusione e al pagamento di una somma vicina ai 2 milioni di euro (cifra che però la famiglia di Berardi non possedeva).
L’Italia ovviamente non è mai intervenuta per pagare quello che, nei fatti, sembrerebbe proprio un riscatto. Peccato però che, a parte non pagare, i nostri governi in questi due anni non abbiano fatto nulla per salvare Berardi: mentre ad esempio per le due ragazze italiane rapite in Siria e liberate dopo pochissimo tempo si vocifera che Roma abbia sborsato ben 12 milioni di euro ai terroristi, pare che nessuno dei nostri capi di stato abbia mai pensato di salvare la vita a quest’uomo, trattando la sua liberazione in cambio di denaro.
A questo punto vi starete chiedendo se l’Italia abbia valutato altri tipi di intervento per liberare Berardi, ad esempio l’opzione militare: neanche per idea, anzi l’avvocato africano di Berardi lamenta, sin dall’inizio di questa vicenda, il totale disinteresse delle istituzioni italiane per la situazione del suo assistito.
E l’Europa? Figurarsi, le pochissime dichiarazioni rilasciate da qualche addetto ai lavori parlano sempre di “buone speranze per una soluzione positiva della vicenda” (esattamente quello che ci hanno sempre detto riguardo al caso dei nostri due Marò; un caso che però, tutt’ora, non ha ancora trovato una fine).
Tutto ciò avviene nel più vergognoso silenzio dei media: nessun tg o giornale parla del nostro connazionale prigioniero in Guinea. Un silenzio assordante, che a tratti somiglia tanto ad un miscuglio di disinteresse e di complicità con i nostri governi per evitare di mettere in imbarazzo quest’ultimi.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso, la famiglia ha lanciato l’hashtag #FreeBerardi da utilizzare sui social network.
Francesco Vozza