Roma, 26 mag – Si fa sempre più difficile ed ardua la tutela del “Made in Italy” da parte delle imprese che realizzano i propri prodotti effettivamente nel territorio nazionale.
Già di per sé la norma base che, a livello europeo, regola la materia del “Made in” si presta ad abusi ed elusioni di ogni sorta, infatti l’art. 60 del nuovo Codice Doganale dell’Unione stabilisce al primo comma che “Le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio”, norma questa che non crea grossi problemi interpretativi, mentre il comma successivo ne crea molti di più: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”. La dicitura “l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata” infatti si presta a molteplici interpretazioni tra le quali quella più autorevole, sebbene non risolutiva, è stata quella della Corte di Giustizia Europea che ha stabilito che “la sostanzialità della trasformazione debba prevalere sul fatto che la stessa rappresenti l’ultima operazione effettuata sul prodotto”. Entrando ancora più nello specifico la Corte ha affermato che l’ultima trasformazione o operazione si configura “solo qualora il prodotto che ne risulta abbia composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a tale trasformazione o lavorazione”. Insomma, un bel rompicampo non facilmente risolvibile, soprattutto nelle produzioni più complesse ed articolate o nel caso di produzioni artigianali e di qualità, guarda caso proprio tutte caratteristiche che contraddistinguono l’industria manifatturiera italiana.
L’Italia aveva tentato di dare una interpretazione che tutelasse le nostre imprese con la Legge 8 aprile 2010 n. 55, più comunemente conosciuta come “Legge Reguzzoni – Versace – Calearo” quanto meno stabilendo regole più chiare per i settori pellettiero, calzaturiero e tessile. Tale legge entrata è in vigore nel nostro Paese dall’ottobre 2010, ma, tuttavia, ancora oggi non è applicabile a causa dello stop imposto dall’Unione Europea (in particolare Ungheria e Francia), che non ha approvato i decreti attuativi italiani.
A tutta questa situazione si aggiunge un’altra vicenda molto più recente, quella della trattativa, sempre in sede europea, circa la definizione del perimetro di applicazione del “Made in”. L’Italia infatti, alla vigilia del Consiglio Ue sulla competitività, si sta ritrovando in minoranza nel pretendere che la tutela del “Made in” sia quanto meno applicata ai settori del tessile/abbigliamento, legno, calzature, ceramica ed oreficeria, mentre la proposta della Lettonia, Presidente di turno dell’UE, prevederebbe soltanto di limitare la garanzia del “Fatto in” al settore calzaturiero ed a parte di quello ceramico. Il problema più grosso sta nel fatto che la posizione italiana è in netta minoranza tra i 28 Stati dell’Unione (16 contro 12) e la capofila del fronte contrario, manco a dirsi, è la Germania che si dice fermamente contraria al riconoscimento della tutela del “Made in” anche ad un solo settore. Non è certo un mistero che l’attuale situazione di caos legislativo e l’eventuale deregolamentazione agognata dalla maggioranza degli Stati europei sia un esplicito favore a quelle società multi o transnazionali che delocalizzando completamente i propri processi produttivi nei paesi in via di sviluppo sono fortemente interessate a non palesare l’origine geografica dei beni poiché prodotti a costi altamente competitivi e successivamente rivenduti, con elevati margini di profitto, nei mercati sviluppati.
Viene quindi spontaneo chiedersi dove fosse il premier Renzi, nel corso del precedente semestre a guida italiana dell’Ue. La tutela dell’origine italiana delle merci prodotte sul territorio nazionale doveva essere un punto essenziale della politica europea nel semestre di presidenza italiana. Ed invece, alla resa dei conti, il capo del governo si è rivelato per quello che è: un chiacchierone che si tira indietro quando il gioco si fa duro e gli interessi nazionali sono da proteggere.
Walter Parisi