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“Tra vent’anni 7 milioni di lavoratori italiani in meno”. La tragedia della denatalità distrugge il tessuto produttivo

by La Redazione
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sette milioni di lavoratori in meno

Roma, 1 ago – Sette milioni di lavoratori in meno nei prossimi vent’anni. La denatalità italiana distrugge progressivamente anche il tessuto produttivo, e gli ultimi dati-proiezioni, riportati da Tgcom24, lo mostrano con crudezza.

Sette milioni di lavoratori in meno nel 2042

L’Italia non fa figli, l’Italia invecchia, l’Italia si estingue. Ma è un invecchiamento che, logicamente, infetta anche il tessuto produttivo. Le ultime ricerche pubblicate anche dalla Fondazione di Vittorio, parlano chiaro: “Fra vent’anni il bacino dei potenziali lavoratori subirà una netta diminuzione, -6,8 milioni di persone, mentre la popolazione non in età da lavoro (under 15 e over 64) registrerà una robusta crescita, +3,8 milioni di persone”. Un effetto distruttivo che, sostiene la Fondazione, inciderà anche sul tasso ufficiale di occupazione. Due dei ricercatori, Beppe De Sario e Nicolò Giangrande, dichiarano in merito: “La recente crescita del tasso di occupazione è un effetto ottico determinato solo in parte dalla crescita degli occupati e, in misura non trascurabile, dalla contrazione della popolazione in età lavorativa. La diminuzione della popolazione è un fenomeno ormai consolidato: le stime a vent’anni indicano infatti una riduzione della popolazione residente in Italia da 59,0 milioni del 2022 ai 56,0 milioni previsti nel 2042 (-3,0 milioni, -5,0%) e un aumento dell’età media da 46,2 anni a 50,0 anni”.

Danni alla produzione e alla crescita

I danni alla crescita, e quindi al Pil, poi, saranno enormi: “L’indubbia crisi demografica italiana avrà un impatto sulla quantità dell’offerta di lavoro e sulla composizione anagrafica degli occupati con delle ripercussioni sulla produttività, sull’assistenza e sulla previdenza. Un’Italia priva dell’energia delle giovani generazioni sconterà nel medio e lungo periodo un deficit di crescita”.

L’analisi, purtroppo, è volta anche alla solita propaganda immigrazionista. Se il presidente della Fondazione, Fulvio Fammoni, si concentra sugli italiani che fuggono all’estero (“è bene inoltre ricordare che mediamente ogni anno circa 100mila persone emigrano dall’Italia verso l’estero, in cerca di un salario migliore ma anche di poter svolgere il lavoro per il quale si sono formati e che in Italia raramente gli viene proposto”),  dall’altro lato si lancia il solito diktat che, invece di concentrarsi su come non far partire i giovani italiani, si assilla sull’idea di far lavorare gli stranieri (“le scarse capacita’ dimostrate finora dal nostro Paese di valorizzare gli immigrati e creare le condizioni per una loro integrazione e stabile permanenza”). Come a dire, “se tutto va bene, siamo rovinati”.

Alberto Celletti

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fabio crociato 1 Agosto 2022 - 4:39

Bene, pensiamo a ridimensionarci quantitativamente ma non qualitativamente…
Dove si mangia in due, si mangia in tre, si mangia in quattro e così via, ma vale pure il contrario e le fette son più grandi. L’ emigrazione può essere considerata pure come una cacciata dalla tavola, checché se ne dica. E la nuova tavola non va alla grande e se si fatica a procreare, c’è una qualche “carestia” in corso da domare. Un equilibrio da ritrovare. Il divorzio, l’ aborto, la droga, vere piaghe comunitarie, hanno già dimostrato che solo quantitativamente, senza qualità, non ci stavamo dentro.

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