Palermo, 28 mag – “Oltre 2500 anni di storia, più di 120 anni di calcio. Benvenuti a Palermo”. Da qualche settimana sono queste le parole che accolgono i calciatori avversari nei locali del Renzo Barbera adibiti a spogliatoio ospiti. Quello che per decenni è stato il più capiente stadio siciliano – sorpassato nei primi anni del nuovo millennio dal San Filippo – nei mesi scorsi infatti ha vissuto un importante intervento di ristrutturazione: rinnovamento oltre che strutturale quindi anche estetico, in quanto sui “nuovi” muri rosanero dell’impianto panormita ritroviamo diverse volte “Siamo Aquile”, il particolare hashtag con 3 linee orizzontali che ricordano proprio il simbolo della città natia della società fondata nel novembre 1900.
I pionieri del mezzogiorno
L’apparizione del calcio in Sicilia – e in particolare a Palermo – coincide quindi con la nascita di tale pratica sportiva nel Sud Italia. Merito di Ignazio Majo Pagano e Alfredo Marangolo, giovani borghesi che durante un soggiorno in Inghilterra conoscono il football. Dal pionerismo del primo nasce appunto la rappresentante del capoluogo, da quello del secondo – solamente un mese più tardi – il Messina. Manco a dirlo la loro amicizia si romperà proprio per motivi pedatori.
I primi successi dei rosanero hanno carattere isolano (trofeo Whitaker, promossa da una ricca famiglia trapiantata in Trinacria) o comunque arrivano in competizioni riservate a compagini del centro-sud (Coppa Lipton, organizzata dallo stesso magnate del té).
Palermo, la costruzione dello Stadio Littorio
Come nel resto d’Italia, anche lungo la Conca d’oro la passione per il calcio cresce. Merito sicuramente del carattere nazionale con cui vengono riprogrammate le competizioni: nel 1929 i siciliani sono iscritti infatti alla Prima Divisione, paragonabile all’attuale terza serie. Subito promossi in B, sopraggiunge l’esigenza di un impianto adeguato all’entusiasmo cittadino. Progettato dall’ingegnere Giovan Battista Santangelo (1931) e inaugurato già nel gennaio dell’anno successivo con un perentorio successo sull’Atalanta, il Littorio – questa la denominazione originale – presenta una capienza di ventimila posti suddivisi tra tribuna coperta e gradinata: a completamento del disegno iniziale nel dopoguerra verranno costruite le curve ma rimossa la pista d’atletica. La vittoria del campionato cadetto permette quindi al nuovo stadio di conoscere immediatamente la Serie A. E’ l’inizio di un cammino altalenante fatto di promozioni e retrocessioni, fallimenti e successive rifondazioni (ben tre, da aggiungersi alle due precedenti): premonitrici in tal senso le parole vergate da Giuseppe Airoldi, il quale nel 1905 consiglia alla dirigenza di cambiare il rossoblu – inflazionato abbinamento originario – “in rosa e nero…i colori dell’amaro e del dolce” per poter così dimenticare le sconfitte con un digestivo e brindare alle vittorie assaporando un liquore più amabile come appunto il rosolio.
Da Michele Marrone a Renzo Barbera
Quando l’ex centrocampista Michele Marrone, partito volontario per combattere la guerra civile spagnola, cade in terra iberica lo stadio viene a lui intitolato. Denominazione poi cambiata in Stadio La Favorita – dal nome della tenuta borbonica. Un incendio (1982) ne compromette l’agibilità ma di lì a poco nuove ristrutturazioni ne ridisegnano il volto: curve e gradinata vengono arricchite di un secondo anello, la facciata completamente ricostruita. Dell’impianto originario rimane quindi l’ingresso, un corpo a 3 archi. Durante i sopralluoghi per Italia ‘90 Hermann Neuberger – vice presidente FIFA e direttore organizzativo della manifestazione iridata – lo definisce un “piccolo gioiello”.
Dal 2002, infine, è intitolato al presidentissimo Renzo Barbera. Classe 1920, sotto la sua gestione decennale i rosanero tornano in Serie A (1972) ma soprattutto raggiungono due volte la finale di Coppa Italia. E’ il penultimo volo, la massima serie tornerà dopo oltre 30 anni, quando le scelte azzeccate dell’accoppiata Zamparini-Foschi porteranno l’aquila ancora più in alto, fino alle impensabili altezze europee.
Marco Battistini