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La Venere di Willendorf è italiana: cosa ci dicono le ultime (incredibili) scoperte

by Andrea Bonazza
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Riva del Garda, 17 mag – Sono tanti i miti e le leggende sulla nascita della civiltà indoeuropea, come tante sono le tesi basate sulla paleontologia scientifica o sui ritrovamenti archeologici più antichi. Da Kuhn a Guénon, i grandi studiosi hanno sempre cercato di risolvere l’arcano che da millenni affascina gli europei, ognuno con la propria soluzione scientifica, storica o filosofica, ma senza mai giungere a incontrovertibili conclusioni che ne possano accertare la veridicità. Probabilmente non lo farà nemmeno quest’ultima scoperta di cui vi scriviamo oggi ma, per il valore sensazionale che riporta, sicuramente è destinata a riaccendere le grandi discussioni sul tema. Nel corso di esami sulla statuetta della Venere di Willendorf, condotti dai ricercatori dell’Università di Vienna, è emerso che l’origine del famoso reperto archeologico – risalente a circa 30mila anni fa e rinvenuto in Austria – sarebbe italiana.

La Venere di Willendorf? Italiana, originaria del Lago di Garda

Per la precisione, stando a quanto emerso da quest’ultima sensazionale scoperta, l’esatta provenienza del materiale con il quale venne realizzato il misterioso manufatto dipinto in ocra rossa, sarebbe da attribuire al nostro Lago di Garda e, più precisamente, alla zona trentina di Sega di Ala. Adoperando una nuova tipologia di scansioni di tomografia micro computerizzata, che possono arrivare ad una risoluzione di 11,5 micrometri, lo staff di ricerca ha individuato nella scultura divina gli stessi sedimenti calcarei di oolite appartenenti alla zona settentrionale del Lago più grande d’Italia.

L’antico culto della Dea Madre

La Venere di Willendorf, o del Garda, in correlazione ad altre raffigurazioni della Dea Madre o della Madre Terra, si presenta molto prosperosa con vulva e grandi seni gonfi a rappresentare la fertilità femminile. Lo stesso vale anche per il colore ocra rossa con il quale è dipinta e che, secondo alcune versioni, dovrebbe richiamare il ciclo mestruale. Le abbondanti forme del reperto indicano probabilmente l’abbondanza del nutrimento e il perenne stato di gravidanza che permette la continuità dei popoli. Ma se pensiamo che, sempre dal Trentino, nel 1971 venne rinvenuto un altro manufatto mesolitico chiamato “Venere del Gaban“, gli elementi potrebbero in qualche modo corrispondere. Questa scultura ossea, sorella della più celebre Venere di Willendorf, infatti, è anch’essa colorata di ocra rossa e, seppur diversa nella manifattura, nel periodo di produzione e nelle fattezze più “snelle”, riporta inevitabilmente all’antico culto della Dea Madre.

La madre d’Europa

Una volta svelata l’origine di questa antichissima statuetta di 11 cm, corrispondente al più primitivo culto della Dea Madre italica, agli studiosi tocca però adesso il compito di comprendere come e quando essa attraversò il naturale confine alpino del Brennero, per arrivare fino nella viennese Willendorf, vicino agli attuali confini tra Austria, Ungheria e Slovacchia. Qui rinvenuta nel 1908 dall’archeologo Josef Szombathy, questa abbondante Venere attribuita alla cultura gravettiana potrebbe oggi svelare nuovi importantissimi particolari sulla distribuzione demografica dei suoi padri. Tornando alla ricerca delle origini indoeuropee, come annunciato dall’ateneo viennese, la Dea Madre di Willendorf potrebbe offrire nuovi spunti sulla mobilità umana in tempi remoti che, al momento, anche grazie a questa scoperta sembrerebbe attestata negli spostamenti da sud a nord, con l’Italia, ancora una volta, antica madre d’Europa.

Andrea Bonazza

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