Come era prevedibile, la risposta a quella che Vladimir Putin chiama «operazione militare speciale» in Ucraina non si è fatta attendere. La strada, indicata dagli Stati Uniti e seguita da tutto il blocco occidentale, è stata quella di una raffica di pesanti sanzioni, una vera e propria dichiarazione di guerra all’economia russa, con l’obiettivo, forse troppo ambizioso, di isolare completamente Mosca.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di maggio 2022
Sanzioni di vario tipo colpiscono la Federazione russa dal 2014, ma mentre otto anni fa molte nazioni europee si sono dimostrate tiepide nei confronti di questi provvedimenti, oggi il blocco occidentale mostra un’apparente compattezza.
Le sanzioni e il nodo energetico
Ma questo ampio consenso comporta dei costi: in uno scenario già complicato dalla pandemia, le sanzioni sono destinate a peggiorare la situazione economica e i fenomeni inflattivi già in corso. E se al momento tutto il continente europeo manifesta l’intenzione di pagare questo caro prezzo, il bisogno di energia è tale che, in caso ci fossero problemi di approvvigionamento, si potrebbero aprire delle crepe importanti nel fronte europeo.
Si può già notare la rincorsa, in ordine sparso, alla ricerca di rimedi a breve termine e di fonti alternative. Se la Francia con la sua politica sul nucleare è sicuramente più coperta, la Germania sta pensando di rimandare la chiusura di alcune centrali, originariamente prevista entro la fine del 2022. Lo stesso Robert Habeck, vicecancelliere tedesco ed esponente del Partito ambientalista, non esclude un maggiore ricorso al carbone, una fonte di energia decisamente poco ecologica del cui ritorno si inizia timidamente a parlare anche in Italia.
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Certamente la crisi tra Ucraina e Russia porterà a un’accelerazione nella volontà europea di affidarsi in misura sempre maggiore a fonti rinnovabili, la famosa rivoluzione «green» che ha tenuto banco nei mesi di definizione del piano Next generation Eu. Ma l’orizzonte temporale si è decisamente ristretto, ed è molto diverso avere come obiettivo il 2050 piuttosto che l’inverno prossimo.
Un legame spezzato
Se è vero che non bisogna sovrastimare la potenza economica della Russia a livello mondiale, visto che rappresenta solamente l’1,7% del prodotto interno lordo globale, è altrettanto vero che l’aumento dei costi energetici è solo una parte del problema. Metalli essenziali come il palladio o l’alluminio, di cui la Russia è uno dei principali esportatori, hanno visto il loro prezzo salire alle stelle nei primi giorni del conflitto. I costi di queste materie prime, uniti all’incremento della spesa per l’energia, sono fonte di grande preoccupazione per molte aziende.
La posta in gioco a livello economico rimane alta e si notano le prime incrinature tra quelle che sono le legittime aspirazioni dei settori produttivi – che vedevano la Russia come un importante partner commerciale – e la risposta politica che si vorrebbe unitaria a livello europeo. Dobbiamo ricordarci che, solo qualche mese fa, Putin tenne una serie di videoconferenze con i manager di alcune tra le più importanti aziende europee, tra cui le italiane Enel e Pirelli, al fine di rafforzare i rapporti economici. Non è un mistero che l’industria del…
3 comments
Da imbecilli (ex art. 21 Costituzione) d’oltre Atlantico che aspettarsi?
Avevano una storia comune e la stessa lingua e si sono fatti una guerra di secessione figurati tu come possono stare insieme 23 popoli diversi solo perché lo volgiono gli USA per il loro tornaconto economico.
[…] comminato alla Russia – com’è noto a chi non è accecato dalla propaganda occidentalista – fanno male più a noi che a Vladimir […]
[…] il leader del Cremlino le sanzioni imposte dai Paesi occidentali alla Russia sono “una minaccia al mondo intero”. E in questo scorge un parallelismo con l’era del Covid: […]