Il conflitto in Ucraina ha fatto emergere la questione della dipendenza italiana dalle forniture energetiche estere. Il tema non è certo una novità. Ma, se fino ad oggi non aveva rappresentato un particolare problema in termini di approvvigionamenti, da qui in avanti la garanzia di poter contare su tutte le fonti attualmente esistenti non è più così scontata. Tanto da dover necessariamente ragionare su come assicurare alla nostra nazione le risorse di cui ha bisogno. A partire anzitutto dalla risorsa-principe: il gas naturale.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2022
Da chi importiamo il gas
Secondo i dati forniti per il 2021 dal ministero della Transizione Ecologica, il fabbisogno annuale italiano di «oro blu» ammonta all’incirca a 75 miliardi di metri cubi (che è il valore medio degli ultimi anni, pre- e post-pandemia). Gli usi sono i più svariati: dal riscaldamento delle abitazioni al funzionamento di macchinari industriali. Senza poi considerare che proprio dal gas viene generato il 40-45% della nostra energia elettrica.
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La produzione nazionale si attesta a meno di 4 miliardi di metri cubi: erano oltre tre volte tanto non più tardi di 15 anni fa. La differenza – 71-72 miliardi di m3, il 95% del totale – sono i volumi importati. Da dove? Oltre il 40% giunge a Tarvisio, dove termina il metanodotto Trans Austria che fa arrivare nella Penisola il gas russo. Quasi il 30% passa dal gasdotto Enrico Mattei, che collega l’Algeria alla Sicilia. Un 10% abbondante è garantito dal Tap, che porta in Italia il gas dell’Azerbaigian. Il contributo della Libia, con il Greenstream, è inferiore al 5%. Meno del 3% è la quota del Transitgas, che connette l’Italia ai giacimenti del mare del Nord. Il resto delle forniture – di poco inferiore ai 10 miliardi di m3 – è dato dai tre rigassificatori attualmente in funzione.
Quanto dipendiamo da Mosca
I dati indicano come la parte del leone la faccia il gas proveniente da Mosca. Tanto più che la sua quota-parte è pressoché stabile da decenni. A differenza, invece, delle altre fonti. Pensiamo ad esempio al Greenstream, che nei momenti di picco garantiva il doppio del flusso attuale. Oppure all’Enrico Mattei: 23 miliardi di m3 nel 2004 e 25 nel 2010, diventati 10 nel 2019 e poi risaliti a 21 l’anno scorso. Stesso discorso per quanto riguarda il Transitgas.
Ad eccezione del gas russo, esiste insomma un’elevata variabilità, sulla quale il governo – quando non è impegnato direttamente in atti di autolesionismo come l’intervento militare in Libia – può davvero poco. L’imperativo diventa così quello di spingere ancora di più in termini di diversificazione. Non solo dal lato geopolitico, ma anche da quello più strettamente economico. Partiamo dal…
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[…] Il problema dell’energia in Italia è più acuto rispetto ad altri Paesi: “La Francia ha il nucleare e ha avviato sei nuove centrali. La Germania produce elettricità anche con il carbone e discute seriamente di rinviare l’uscita di scena del nucleare. Per noi la quota di elettricità prodotta dal gas è molto più alta e questo rischia di diventare un handicap per le imprese, proprio perché il gas è rincarato molto più delle altre fonti di energia. Per noi la quota di elettricità prodotta dal gas è molto più alta persino che in Germania“, sottolinea il numero uno di Confindustria. […]