Sgombriamo subito il campo da equivoci e disquisizioni su dettagli di scarsa o nulla rilevanza: non vi sarà alcuna riforma del Patto di stabilità. Lo mettiamo per iscritto, a costo di venire clamorosamente smentiti: al netto di qualche misura puramente cosmetica, la religione del libro dell’Unione europea (il Trattato di Maastricht e relativi protocolli, insieme ai successivi regolamenti attuativi) non subirà nessuna sensibile variazione. L’architettura rimarrà pressoché identica all’attuale, cambieranno forse le percentuali di riferimento – chissà, magari invece del 60% di rapporto debito/Pil si passerà al 100% – ma non la logica sottesa, quella per intenderci che ci chiede già oggi di ridurre (ancora) la spesa pubblica perché, a detta di Bruxelles, le misere somme del Recovery Fund bastano e avanzano.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di marzo 2022
Ce ne sarebbe abbastanza per archiviare ogni possibile discussione. Dibattito che, non più tardi dello scorso dicembre, Mario Draghi ed Emmanuel Macron hanno invece voluto rinfocolare con una lettera scritta a quattro mani. Nella missiva, i due auspicano modifiche che superino le «troppo opache ed eccessivamente complesse» regole attuali. Bene, bravi, bis. Peccato per il prosieguo: «Non c’è dubbio che dobbiamo ridurre i nostri livelli di indebitamento». E ancora: «La nostra strategia è limitare la spesa pubblica ricorrente attraverso riforme strutturali ragionevoli». Sembra di leggere un comunicato standard partorito da una qualsiasi riunione dell’Ecofin: tante buone intenzioni (in realtà cattive, ma questo è un altro discorso), tantissimo fumo e gli immancabili aggettivi – da «ambizioso» a «coraggioso» – che preludono, in genere, al più classico dei nulla di fatto.
Patto di stabilità? Alla Germania piace da morire
Quando si parla di Ue, d’altronde, i giochi non si fanno mai senza l’attore principale, che non è né l’Italia né la Francia (Parigi ci perdonerà, ma i suoi sogni di rinnovata grandeur si impantanano sempre e immancabilmente di fronte a Berlino). Parliamo, ovviamente, della Germania: la nuova coalizione «semaforo» ha le idee abbastanza chiare in proposito e le ha messe nero su bianco nel contratto di governo. Dove, quando leggiamo che il Patto di stabilità «ha dimostrato la sua flessibilità», significa che ai tedeschi sta bene così com’è, potendo al più concedere le già menzionate piccole modifiche puramente formali, certo non di sostanza.
Ci azzardiamo a fare una nostra modesta previsione, prescindendo, per carità di patria, dall’ipotesi circolata negli ultimi tempi: quella di mobilitare il Mes per la gestione del debito pubblico oggi in mano alla Bce. In cambio, ovviamente, di un programma di «aggiustamento» sulla falsariga di quello già sperimentato – con esiti disastrosi – in Grecia. Ogni discorso su…