Giulia Ligresti, in libertà dallo scorso 28 agosto, ha ormai da tempo ripreso a mangiare ed ora finalmente anche a fare shopping di lusso. Ha ricominciato dai bisogni primari del capitalismo italiano che, come al solito, rivela in questa vicenda il suo stretto legame con il potere politico. Resterebbe da capire quale, tra le due categorie, faccia da “cameriere” all’altra ma, stando alle ultime notizie, pare che i politici, oltre che dai banchieri, prendano ordini un po’ da tutti, assicuratori compresi. Ligresti in primis.
Non è da tutti, in effetti, il potere di distribuire poltrone. E che poltrone, se è vero che anche dietro quella del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri c’è lo zampino della nota dinastia.
Sia detto per inciso, infatti: non la telefonata in sé di una persona con incarichi istituzionali ad una persona con questioni legali aperte costituisce il punto della situazione. Né lo è unicamente il fatto singolare per cui la mattina del 19 agosto, dopo due tentativi di mettersi in contatto con la Cancellieri, Antonino Ligresti riceva una telefonata dalla stessa della durata di sei minuti e che (coincidenza?) circa un’ora dopo chiami la compagna di Ligresti per comunicarle “ho stabilito il contatto e aspetto risposta” e che dopo solo tre giorni la procura di Torino disponga una perizia medica che la farà poi scarcerare a nove giorni dalla telefonata.
L’eventuale concretizzarsi di un reato e, soprattutto, il garantismo a doppio binario di cui ci siamo già occupati quando è emersa la vicenda, sono solo una parte del problema.
Ciò che è indicativo del degrado politico italiano è piuttosto l’intreccio politico-affaristico che sta dietro la vicenda, nella quale è coinvolto del resto anche il fratello di Ignazio La Russa.
«Tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona», afferma Gabriella Fragni, moglie del capo dinastia Salvatore Ligresti, parlando di una telefonata ricevuta il giorno precedente, lo stesso in cui riceveva la chiamata del ministro della Giustizia, la quale si definiva ripetutamente «dispiaciuta» così come la misteriosa protagonista della telefonata qui raccontata. Una frase, quella relativa alla poltrona, riferita evidentemente ad un personaggio che ricopre un incarico importante ma che rimane senza nome anche in fase di interrogatorio. Una frase che però, viste le coincidenze, lascia spazio ad interpretazioni politicamente gravi ed, in ogni caso, permette ampiamente di intuire il funzionamento del sistema: «hanno mangiato tutti: politici e manager», esclama infatti, a conferma, poco dopo.
Politici e manager che hanno mangiato, tanto per la cronaca, alla tavola di un tipo che non ha fatto niente di troppo diverso di ciò che è stato fatto con la Parmalat: nascondere un passivo di 800 milioni nei conti della società di cui era principale azionista ingannando gli investitori ed incassando regolarmente.
Politici e manager complici di una colossale truffa e protagonisti di scambi di poltrone.
Non per niente, lo scorso agosto Beppe Grillo polemizzava: «Mi sarei aspettato però che a seguire sarebbero finiti dentro anche i vertici di Consob e Isvap, gli enti a cui lo Stato affida il controllo delle società quotate e delle assicurazioni. Macché, uno, uno solo uno dei tanti membri e dirigenti delle stesse, sta ai domiciliari, accusato di non aver controllato per 10 anni, 3.650 giorni, uno dei massimi gruppi assicurativi Italiani». E titolava sarcasticamente così il suo post: «Giulia Ligresti, unica colpevole».
Ebbene, Giulia Ligresti è senz’altro colpevole, considerato il patteggiamento per due anni ed otto mesi di reclusione, che in ogni caso le permetteranno di scontare la pena ai servizi sociali. Invece, attorno alla Cancellieri, cortigiana dei Ligresti, hanno fatto scudo sia il Pd, che il Pdl che il premier Letta. Resterà al suo posto a meno che – poco probabile – la mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle non verrà approvata. Mentre ieri il candidato segretario del Pd Matteo Renzi si è prodotto in una serie di ridicole capriole verbali dalle quali si è riusciti infine a cogliere una scontata e politicamente strumentale condanna delle mancate dimissioni, ma in sostanza non si è avuta la conferma di un impegno per far si che le dimissioni avvengano, ad esempio con il voto di sfiducia da parte dei “suoi”.
Ligresti figlia a parte, però, nelle carceri italiane la situazione rimane quella che era ed il governo di cui fa parte il ministro non sembra aver fatto molto più che parlare (e soltanto parlare) di amnistia. Gli uomini di mister palle d’acciaio Letta, l’avranno scambiata per “amnesia” e pare siano così convinti di seguire alla perfezione l’ordine perentorio del capo dello Stato Napolitano.
E nel frattempo, si moltiplicano le proteste dei detenuti e delle loro famiglie, meno fortunati di donna Ligresti e senza “santi in paradiso”.
Protestano i parenti davanti il carcere di Napoli, rifiutano per sei giorni il cibo i detenuti di un carcere periferico come quello di Catanzaro per l’altro problema grave relativo al sovraffollamento. Mentre Angiolo Marroni, garante per i detenuti del Lazio, scrive a Giovanni Tamburino, presidente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per segnalare i gravi problemi del nuovo complesso del carcere di Rebibbia a Roma. E spiega: «I problemi di carattere logistico e sanitario sono cominciati circa un anno fa: con l’avvio dei lavori a Regina Coeli, buona parte dei detenuti malati lì ricoverati è stata trasferita”. Una soluzione di ripiego per una situazione che “è rapidamente degenerata diventando, oggi, drammatica. Il reparto non è nelle condizioni di ospitare esseri umani affetti dalle più disparate patologie e con scarse o nulle capacità deambulatorie. Celle e servizi non sono adeguati per i disabili».
Tutto ciò mentre i dati parlano di una sottostima del sovraffollamento delle carceri, dal momento che all’appello mancherebbero circa 4.500 posti rispetto alla capienza ufficiale di 47.599 posti su un totale di 64.564 detenuti.
Tra questi, ben 24.744 si trovano in custodia cautelare, 12.348 sono invece quelli che non hanno ancora subito una condanna di primo grado.
Ma intanto di riforma della giustizia e del sistema carcerario, al di là degli aspetti propagandistici, non se ne sente parlare.
Emmanuel Raffaele