Tirana, 8 nov – Le politiche di austerità modificano i flussi migratori, infatti, sono più di 3 mila gli italiani emigrati in Albania alla ricerca di un lavoro.
Fino a qualche anno fa soltanto alcuni imprenditori italiani erano disposti a trasferirsi sull’altra sponda dell’Adriatico, molto spesso attratti da manodopera a basso costo, una burocrazia “snella” e da un regime fiscale molto leggero, il 10% di pressione fiscale confronto al 70% dell’Italia.
Il profilo dell’emigrante italiano del terzo millennio non ha una professione ben definita, infatti, sono svariati i settori che andrebbero ad occupare i nostri connazionali. Non solo imprenditori ma anche operai, meccanici, artigiani, fino ai professionisti come medici ed avvocati. Persino gli operatori di call center di alcune imprese che hanno deciso di delocalizzare in territorio albanese, come Teleperformance, Infocall, Teletu e Transcom.
Una ricerca Istat del 2012 registra 1460 società con almeno un socio italiano. La stima si stringe a 600 se si considerano quelle operative. Non esistono, invece, cifre affidabili sulla comunità italiana in Albania, però si stimano circa 500 connazionali residenti e 1800 permessi di soggiorno “in corso” dall’inizio dell’anno, su una popolazione di 2,8 milioni di albanesi. Luigi Nidito, vice presidente della Camera di commercio di Tirana spiega che “Nessuno sa quanti siano davvero gli italiani, molti si muovono per conto loro e si rivolgono alle istituzioni solo se le cose vanno male. L’italiano preferisce essere volatile”.
L’Albania, inoltre, è anche la seconda opzione degli aspiranti medici nostrani. Quest’anno 600 studenti che non hanno superato i test d’ammissione alle facoltà di medicina degli atenei italiani hanno tentato di aggirare l’ostacolo iscrivendosi all’Università Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana, l’unico ateneo albanese che vanta il rilascio di lauree congiunte e il gemellaggio con l’Università di Tor Vergata.
Guido Bruno