Roma, 23 gen – Anno cruciale il 1994. Nella primavera gli italiani votano nuovamente per Camera e Senato: sono i mesi in cui il ciclone Berlusconi travolge il panorama della nascente seconda repubblica, con la sua Forza Italia che una volta “scesa in campo” (si presenta solamente nel gennaio precedente), grazie anche alla prorompente presenza mediatica, convince parte dei delusi elettori pentapartitici e – insieme alla Lega e a quel Movimento Sociale in procinto di diventare AN – sorprendentemente vince le elezioni.
Ma dal momento che non c’è due senza tre, il successo del Cavaliere non si ferma però alle “sole” imprenditoria e politica. Il Milan infatti continua a collezionare coppe e titoli vari. Il 1994 è l’anno in cui si intrecciano – tra trionfi terreni e gloria eterna – i destini sportivi di Italia e Brasile: in un drammatico fine settimana di maggio all’autodromo di Imola trova la morte il pilota brasiliano (di origini italiane) Ayrton Senna, nel caldissimo luglio americano la seleçao contende agli azzurri il titolo mondiale.
Tutti i numeri di Sebastiano Rossi
Come è ovvio che sia, in quella nazionale c’è davvero tanto Milan – Baresi, Costacurta, Maldini, Tassotti, Albertini, Donadoni, Massaro – praticamente l’ossatura titolare del diavolo. Tutti tranne uno, tutti tranne il numero 1. Per uno strano sovrapporsi degli eventi infatti Sebastiano Rossi, il portiere degli Invincibili, non vestirà mai la maglia azzurra, nemmeno sotto la gestione Sacchi, legato al gigante di Cesena fin dai tempi delle giovanili del cavalluccio. Eppure i numeri di Super Seba sono di quelli da far impallidire qualsiasi concorrente: 21 anni di onorata carriera impreziositi da 5 scudetti, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale oltre a 5 Supercoppe – tra italiane ed europee – e, proprio nel 1994 al record di imbattibilità durato 929 minuti superato solamente 22 stagioni dopo da Gigi Buffon, un altro numero uno di maglia e di fatto.
Professionalità e disciplina
Per arrivare tanto in alto non bastano però le doti fisiche – 197 centimetri – e atletiche. Perché riflessi, senso del piazzamento e spavalderia nelle uscite alte vanno allenate continuamente: se Capello risulta esser l’allenatore che “più ha significato” per la carriera del romagnolo, è l’Arrigo nazionale ad avergli “inculcato la professionalità e la disciplina” in quanto “non basta il talento per diventare un campione ma serve lavorare molto e con metodo”.
Personalità da vendere, stazza imponente e rinvio dalla gittata disumana (impressionante quello che manda in gol Weah nella finale di Coppa Italia del ‘98) fanno il resto. Chiuso in nazionale da Pagliuca prima e Peruzzi poi, in rossonero il discorso si ribalta: da Antonioli al tedesco Lehmann, passando per Pagotto e Taibi, nessuno riesce a spodestare Seba l’imbattibile. Almeno fino al 17 gennaio 1999, giorno in cui Rossi con un gesto plateale – ma a onor del vero senza conseguenze per nessuno – abbatte il perugino Bucchi. Una manata che pagherà a caro prezzo: Abbiati, giovane dodicesimo, sfrutterà le 5 giornate di squalifica inflitte per insediarsi definitivamente tra i pali del diavolo.
L’ascensore umano: gli ultimi anni
Non poteva però essere certo quello il finale riservato a un degnissimo rappresentante della parata italica. L’ultimo triennio meneghino lo passa da riserva, ma chiude fregiandosi della titolarità nello storico derby del 6-0 ai cugini dell’Inter. Simbolica, invece, la parata sul rigore di Crespo, neutralizzato – altra sua dote, l’intuito dagli 11 metri – nel finale di un Milan – Parma del novembre ‘99: dopo aver ipnotizzato l’argentino si gira verso la Sud scandendo un romanticissimo “forza vecchio cuore rossonero”.
Perché in fondo Sebastiano Rossi si è fatto trovare pronto ogni qualvolta chiamato in causa – soprattutto se sollecitato pochissime volte nell’arco dei 90 minuti – ed è tutta qui la differenza tra gli onesti mestieranti e gli estremi difensori più forti. Vita, parate e miracoli del numero uno più sottovalutato di sempre: dietro una grande difesa c’è sempre un grande portiere.
Marco Battistini