Roma, 19 apr – Non è un calcio per poveri. Non lo è da anni, con buona pace di chi si scaglia adesso contro la SuperLega dimenticando che “il gioco più bello del mondo” era già trasmutato. A dirla tutta il calcio non è mai stato soltanto per poveri, perché da sempre è il portafogli di una società che rende grande una squadra. E intendiamoci, non stiamo dicendo che ci piace l’idea di un torneo all’americana finanziato dalla JP Morgan. Vorremmo ancora assistere ai campionati nazionali così come concepiti in altri tempi, quando l’identità era un principio indiscutibile. E vorremmo vedere ancora coppe europee con squadre improbabili che se la giocano con le più blasonate, facendo sputare sangue a fuoriclasse strapagati. E’ in fondo questa la straordinarietà di uno sport che sport non è mai stato. Perché il calcio si innesta tra gioco fanciullesco e amore carnale, tra battaglia selvaggia e poesia epica, sfuggendo davvero a qualsivoglia definizione.
C’era una volta il “nostro” calcio
Ma il piccolo mondo antico non esiste più da anni e sono anni che ce lo ripetiamo. Ognuno di noi, inutile nascondercelo, è nostalgico di qualcosa. Chi sogna le battaglie a suon di scivoloni sul campo fangoso di periferia. Chi rimembra il tempo di una giovinezza perduta, passata a sbucciarsi le ginocchia durante le partitelle in oratorio. Chi sogna di rivedere in campo quei campioni bandiera della propria squadra. Chi si commuove rispolverando vecchie immagini di 90° minuto e in fondo vorrebbe rigiocarsi quella schedina del Totocalcio sfortunata, compilata al tavolino del bar dopo un amaro di troppo. E una lacrima malinconica bagna il viso anche ai più cinici cantori del calcio in streaming, quando ripensano ai seggiolini traballanti sulle gradinate solcate per anni in stadi cadenti, da dove i giocatori della propria squadra si vedevano come lontani puntini colorati. Quel calcio non c’è più e non tornerà più.
Altro che SuperLega
Dunque nessuna realtà incantata verrà soppressa dalla SuperLega, che suona semplicemente come un de profundis recitato a un fantasma del passato. E non c’è nostalgia che tenga di fronte al massacro del calcio attuato con gelida maestria negli ultimi venti anni. Nessuno, se non gli ultras – solito capro espiatorio mediatico atto a giustificare nefandezze consumate al tavolo delle truffe societarie – ha mai alzato la voce di fronte allo scempio del calcio. Perché da venti anni assistiamo a una distruzione certosina operata in palazzi di cristallo. O forse chi oggi si lamenta ha dimenticato che la Supercoppa italiana non viene quasi più alzata al cielo negli stadi di casa nostra? Giocata in Libia, in Qatar, in Cina, negli Stati Uniti, in Arabia Saudita. Senza che nessun apologeta col Rolex del “calcio per poveri” abbia mai avuto da ridire.
Non ricordiamo neppure guerre politiche per impedire l’assegnazione dei Mondiali del 2022 al Qatar, nemmeno quando scoprimmo che fu pilotata grazie a mazzette, regali e favori a dirigenti di federazioni calcistiche del povero terzo mondo. Nessuno ha poggiato il ginocchio a terra, in salsa Black lives matter, per protestare contro la violazione dei diritti umani in quel Paese del Golfo. Neppure quando lorsignori hanno saputo che i prossimi mondiali di calcio si terranno dopo un accurato sfruttamento di manodopera immigrata, impiegata in tutti i settori relativi alla preparazione del grande evento. Non venite a dirci adesso che il calcio morirà con la Superlega, perché quel calcio che abbiamo vissuto e amato da bambini è già morto. Ucciso dai cecchini della finanza predatoria e dai ciechi megafoni del politicamente corretto.
Eugenio Palazzini
9 comments
Assolutamente vero! A questo punto si torni a giocare e a finirla di fare i guardoni, pure a pagamento.
Insegnare ai figli: gioca tu, suda tu, vinci o perdi tu, fatti i divertimenti e le battaglie tue, fatti i fatti tuoi! Con chi la pensa come te. Gli altri, se “incapaci”, stiano pure a guardare… gratis.
[…] Hanno ucciso il calcio, ma non è stata la SuperLega […]
Questa idea di Superlega che si vorrebbe creare è balorda per tutta una serie lunga di ragioni. Uno degli elementi che a me personalmente fa storcere il naso è la presenza di 6 club inglesi su un totale di 20. L’interesse dei club che vogliono fare questa competizione, a voler incrementare i propri incassi (perché di questo fondamentalmente si tratta), è lecito, ma non è questa la strada da perseguire. Semplicemente è necessario che l’UEFA modifichi il format della Coppa dei Campioni, puntando più sulla qualità che sulla quantità.
Bisogna limitare l’accesso diretto alla fase a gironi della Coppa dei Campioni alla sola squadra campione in carica e alle vincenti di 9 campionati di massima divisione europei (belga, francese, inglese, italiano, olandese, portoghese, russo, spagnolo e tedesco), alle seconde dei predetti campionati alla seconda fase dei preliminari, e per il resto alle squadre vincitrici degli altri campionati delle federazioni associate all’UEFA al primo turno preliminare.
In secondo luogo, bisogna escludere dall’UEFA le federazioni di Azerbaijan, Israele, Kazakistan e Turchia, la cui presenza nella confederazione europea non ha alcun fondamento storico-politico e geografico. La loro naturale collocazione e nell’AFC, la confederazione asiatica.
Grande articolo… Pura verità
Da sottoscrivere ogni parola, tristissime verita’ e descrizione minuziosa di un mondo che non c’ e’ piu’ da molto tempo, ha creato miliardari che girano in barche da decine di milioni e non disdegnano shampi e acque con stupidi uccellini, tanto per arrotondare………..si sa non bastano mai e le banche d’ affari lo sanno.
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