Roma, 26 gen – Doveva rappresentare la rivoluzione energetica, in grado di trasformare paesi affamati di idrocarburi in nazioni capaci di esportare gas e oro nero e importare petrodollari. Stiamo parlando di shale oil & gas, la nuova frontiera delle trivellazioni, che non sembrano reggere la recente contrazione nei prezzi del barile.
Troppo elevati i costi di produzione e insostenibili fin quando gli indici Brent e Wti non mostreranno alcuna ripresa che, al momento, è attesa solo verso il finire di quest’anno. Secondo uno studio condotto da Bloomberg, il costo medio di estrazione del petrolio di scisto si colloca a 80 dollari per barile. Ancora più elevato secondo un altro studio, che colloca l’asticella attorno ai 100 dollari. Almeno dai trenta in più rispetto alle attuali quotazioni. E i produttori cominciano ad adeguarsi.
E’ recente la decisione presa da BHP Billiton, colosso minerario mondiale, di tagliare del 40% il numero dei propri pozzi in attività o in via di trivellazione negli Stati Uniti. La chiusura avverrà progressivamente entro il termine dell’anno. La scelta segue i numerosi fallimenti già registrati in nord America da parte di molte compagnie lanciate in questa nuova corsa all’oro: basti pensare alla multinazionale Halliburton, che ha già annunciato oltre mille licenziamenti.
La crisi del settore rischia di trascinare nei guai anche quelle banche che si sono esposte in finanziamenti a pioggia alle aziende impegnate nelle ricerche di giacimenti non convenzionali.
Filippo Burla