- Quarto capitolo di Italia Eterna, lo speciale del Primato sulle origini della nostra nazione. Le puntate precedenti: i Longobardi, la Disfida di Barletta, Dante e Petrarca [IPN]
Roma, 12 mar – Uno dei temi più controversi del dibattito culturale italiano è quello del rapporto tra Casa Savoia e storia patria. Le posizioni espresse indulgono spesso ad atteggiamenti di superficiale semplificazione o pregiudiziale demonizzazione, precludendo una serena e disincantata disamina del ruolo di una dinastia che ha segnato in modo determinante la storia nazionale.
Non tutti i Savoia sono degli «sciaboletta»
Tanti intellettuali (o presunti tali) di vario orientamento si attardano ancora in giudizi riduzionistici e scientificamente lacunosi, che interpretano retrospettivamente la millenaria storia di Casa Savoia alla luce dei tragici avvenimenti della fase finale del regno di Vittorio Emanuele III. Il dato oggettivo da cui partire è che i principi di Casa Savoia sono stati per secoli la potenza egemone dell’Italia nord-occidentale, come Conti di Savoia dal 1003 al 1416, Duchi di Savoia dal 1416 al 1720 e infine Re di Sardegna dal 1720 al 1861, governando sulle avite terre sabaude e su Principato del Piemonte, sulle Contee di Aosta e Nizza, sul Regno di Sardegna e sulla Liguria acquisita con il Congresso di Vienna, per poi fondare il Regno d’Italia, portare a compimento l’unificazione nazionale e assicurare all’Italia un vasto impero coloniale.
Figure come Umberto Biancamano (970-1048), fondatore della dinastia, Oddone (1010-1057), primo marchese di Torino e come tale iniziatore della vocazione italiana della dinastia, Tommaso I (1178-1233), vicario imperiale della Lombardia sotto Federico II di Svevia, Amedeo VII detto “Conte Rosso” (1360-1391), che garantì alla casata uno sbocco al mare con la conquista di Nizza e Amedeo VIII (1383-1451), primo Duca di Savoia nel 1416 e antipapa con il nome di Felice V, costituiscono figure di prim’ordine della storia medievale italiana.
Emanuele Filiberto, la «testa di ferro»
Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580), il primo del suo nome nella dinastia, detto “Testa di Ferro” per la sua tempra non comune, fu astro di prima grandezza della storia nazionale del Cinquecento. Nipote, tramite la madre Beatrice del Portogallo, dello zio acquisito Carlo V d’Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero, Emanuele Filiberto fece le sue prime esperienze al servizio di questo, per poi ereditare il Ducato di Savoia alla morte del padre Carlo II (1553). Conducendo alla vittoria le armate imperiali a San Quintino contro la Francia (1557)[1], Emanuele Filiberto riuscì a riottenere i dominii aviti, in precedenza occupati da Francesi e Spagnoli. Consolidando la tradizionale vocazione italiana della dinastia, Emanuele Filiberto portò la capitale del Ducato da Chambéry a Torino (1562) e sostituì il latino con l’italiano come lingua della pubblica amministrazione e della giustizia nei suoi dominii cisalpini (Piemonte e Nizza)[2]. Del resto, i contemporanei riferivano riguardo a Emanuele Filiberto: «Egli è nato italiano e tale vuole che sia tenuto»[3].
Il soldato alchimista
A Torino Emanuele Filiberto trasferì anche la Sacra Sindone, precedentemente custodita a Chambéry, nel 1578. Al pari di altri sovrani del suo tempo come Francesco de’ Medici e Rodolfo d’Asburgo, Emanuele Filiberto fu un appassionato praticante dell’alchimia, gettando le basi della realtà e del mito della “Torino esoterica”. Torino, dotata da Emanuele Filiberto di un’Università degli Studi e della cittadella fortificata tutt’ora esistente, si avviò proprio in quel periodo a diventare una delle città più importanti d’Italia.
Anche grazie ai cospicui proventi del gettito fiscale generato da un’accorta gestione delle finanze pubbliche, testimoniata anche dalla fondazione dell’Istituto San Paolo nel 1579, Emanuele Filiberto gettò le basi della tradizione militare piemontese istituendo la Milizia paesana di fanteria fondata sul reclutamento dei sudditi nazionali e composte da quattro colonnellati (Ivrea, Asti, Piemonte e Nizza), poi aumentati a otto, divisi ciascuno in sei compagnie per un totale di 36mila uomini, affiancati da una Milizia paesana di cavalleria, poi sviluppata da Carlo Emanuele, che arrivò a contare fino a 7mila uomini. Le milizie piemontesi intendevano sostituire le truppe mercenarie secondo l’insegnamento, civile e patriottico ancor prima che militare, dato da Niccolò Machiavelli nella sua opera L’arte della guerra[4].
In politica estera Emanuele Filiberto, pur restando fedele alleato degli Asburgo di Spagna cui era legato per il tramite della madre, riuscì a stringere ottime relazioni diplomatiche con la Svizzera, con la Francia (sposò Margherita di Valois, figlia del re francese Francesco I) e con Venezia (contribuendo con tre galere guidate dall’ammiraglio Andrea Provana di Leinì alla flotta veneziana impegnata contro gli Ottomani nella battaglia Lepanto del 1571). Emanuele Filiberto protesse i letterati e gli artisti, seguendo un indirizzo che fu proseguito e ampliato dal figlio Carlo Emanuele. Torquato Tasso «si rivolse al Duca come al più valoroso e glorioso Principe d’Italia, offrendo a lui i suoi servizi, e dedicò un sonetto al suo giovane figlio Carlo Emanuele, sul cui capo presagiva vittoriose corone»[5]. Forte bevitore di vino, Emanuele Filiberto morì di cirrosi epatica nel 1580, lasciando in eredità al figlio 18enne Carlo Emanuele il trono di uno Stato di ridotte dimensioni, ma ben organizzato e capace di essere l’ago della bilancia nelle relazioni internazionali dell’Italia e dell’Europa dell’epoca.
Carlo Emanuele, «testa di fuoco»
La nascita di Carlo Emanuele di Savoia (1562-1630), il primo del suo nome nella dinastia, fu accolta da aspettative inconsuete. Il matematico Eustachio Manfredi dedicò al neonato principe il seguente sonetto: E s’udia l’Appennin per ogni lato // Sonar d’applausi e di festosi gridi; // Italia, Italia, il tuo soccorso è nato[6]. Nostradamus, nel 1561, annunziò ai suoi genitori la sua imminente nascita, aggiungendo che sarebbe diventato «il più grande condottiero del suo tempo». Detto “Testa di fuoco” per il carattere impetuoso, sposò la figlia di Filippo II di Spagna, Caterina Michela, confermando il tradizionale legame della sua casata con gli Asburgo di Spagna.
Nel 1588 Carlo Emanuele occupò il Marchesato di Saluzzo, provocando una guerra contro la Francia che si atteggiava a protettrice del piccolo principato. Dopo alterne vicende, tuttavia, nel 1601 la Francia dovette riconoscere la sovranità sabauda su Saluzzo in cambio di alcune piccole compensazioni territoriali oltralpe. Questa scelta confermava, anche alla luce delle parole del Duca, la vocazione italiana dei Savoia: «È molto meglio avere uno Stato solo, tutto unito, come è questo di qua dei monti, che due, e tutti e due malsicuri»[7]. La vocazione italiana di Carlo Emanuele non si esaurì in un mero espansionismo geopolitico, ma assunse chiari connotati identitari e nazionali. Egli proclamò di «non voler dipendere da alcun principe e di non essere né francese né spagnolo, ma solamente principe italiano, nel quale concetto gli piaceva sommamente di essere tenuto nel mondo»[8]. Questo atteggiamento è confermato da un sonetto scritto dal Duca stesso: Italia, ah, non temer! Non creda il mondo / Ch’io muova a’ danni tuoi l’oste guerriera; // Chi disia di sottrarti a grave pondo // Contro te non congiura: ardisci e spera[9]. Ricorda Gioacchino Volpe: «Ma fatto di storica importanza, ricco di sviluppi futuri per il suo Casato, è il rivolgersi ora, per la prima volta, agli Italiani, in nome dell’Italia; il suo sollecitare la loro solidarietà in nome di interessi comuni»[10].
Un principe italiano
Nel 1610 Carlo Emanuele strinse con Enrico IV di Borbone, re di Francia, il trattato di Bruzolo, in base al quale veniva contratta un’alleanza anti-spagnola in base alla quale il Ducato di Savoia avrebbe dovuto annettere il Ducato di Milano, allora spagnolo. Tuttavia la morte di Enrico IV di Borbone e l’ostilità di Maria de’ Medici verso il trattato resero quest’ultimo privo di effetti e costrinsero Carlo Emanuele a recarsi a Madrid per scusarsi pubblicamente con Filippo III d’Asburgo. Le mire espansionistiche di Carlo Emanuele si volsero nel 1612 verso il Ducato di Mantova e del Monferrato, dove era defunto il genero di Carlo Emanuele, Francesco IV Gonzaga, sposato con Margherita di Savoia. Nel 1613 Carlo Emanuele, sostenuto dalla Francia, non esitò a scendere in campo contro la Spagna, occupando Trino Vercellese, Moncalvo e Alba. Sandro Consolato ricorda come in quell’anno «capitava che a Roma i passanti gridassero “Viva il Re di Savoia!”, mentre tra i letterati d’Italia, tra cui il duca ebbe vastissimi consensi, brillò, per chiarezza di idee ed onestà nell’omaggio al principe, Traiano Boccalini, il cui programma si sintetizza in queste sue parole: “Chiamo patria l’Italia tutta all’italiano”»[11].
Dopo la successione al trono ducale di Ferdinando e poi di Vincenzo II Gonzaga, fratello del defunto Duca, alla morte di questo (1727) la decisione di Luigi XIII di Francia di rivendicare per Carlo I di Gonzaga-Nevers il Ducato di Mantova e del Monferrato, provocò il riavvicinamento di Carlo Emanuele alla Spagna. Sconfitto nel 1630, Carlo Emanuele morì nello stesso anno per una violenta febbre. Il programma ideale ed etico di Carlo Emanuele è testimoniato dalle sue stesse parole: «Ho conosciuto il mondo, che ho portato l’armi per conservar la libertà d’Italia ed ho saputo deporle quando mi è parso di aver conseguito questo fin»[12].
Carlo Emanuele lasciò al Ducato di Savoia un’organizzazione amministrativa, diplomatica e militare di un’efficienza e di una solidità mai conosciute in passato, realizzate con l’apporto dei funzionari piemontesi di cui si circondò. Torino fu arricchita di chiese, palazzi e monumenti e la corte sabauda divenne il massimo centro culturale italiano grazie a intellettuali provenienti da tutta la penisola come il marchigiano Traiano Boccalini (1556-1613), il cuneese Giovanni Botero (1544-1617), il savonese Gabriello Chiabrera (1552-1638), il napoletano Giambattista Marino (1569-1625), il modenese Alessandro Tassoni (1565-1635), il ferrarese Fulvio Testi (1593-1646) e il faentino Ludovico Zuccolo (1568-1630).
Carlo Emanuele suscitò nell’intellettualità italiana del tempo enormi entusiasmi, che confermano che all’inizio del Seicento stava ormai germogliando nell’opinione pubblica italiana l’idea dell’indipendenza nazionale. Alessandro Tassoni lo definì re delle Alpi, Fulvio Testi il generoso invitto core, da cui spera soccorso Italia oppressa[13], Vincenzo Zuccolo lo scudo e la spada d’Italia[14]. Riferendosi all’atteggiamento di Carlo Emanuele verso le potenze europee, l’ambasciatore veneziano Antonio Donato affermò che «in Italia non hanno trovato chi abbia mostrato loro i denti se non il duca»[15]. A Carlo Emanuele, che come il padre si occupava di alchimia, fu dedicata la seconda edizione dell’opera ermetica Il mondo magico degli Heroi di Cesare della Rivera (1695). Il sopra citato Traiano Boccalini fu anche collegato alla confraternita dei Rosacroce e vi è chi ha ipotizzato che tramite questi circoli iniziatici «avrebbero propiziato il risveglio della coscienza nazionale e la crescente consapevolezza del ruolo e del destino fatale dei Savoia, destino, del resto, che avrebbe trovato il suo coronamento soltanto secoli dopo, nel Risorgimento. Del resto è proprio in questi ambienti che veniva tramandata la notizia dell’incontro nell’Urbe del Genio di Roma con Carlo Emanuele I nel corso del quale il duca sarebbe stato esortato ad adoperarsi per liberare l’Italia dal giogo degli stranieri»[16].
I Savoia nel destino d’Italia
Quale fu l’eredità storica di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele? Non passarono che 90 anni dalla morte di quest’ultimo che il Duca Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne, con il trattato di Londra del 1718, la Sardegna e con essa l’agognata corona reale. Ricondotta politicamente, culturalmente e linguisticamente l’isola di Sardegna all’interno della compagine italiana grazie all’opera di Carlo Emanuele III e soprattutto di Giambattista Lorenzo Bogino, suo ministro per gli affari di Sardegna dal 1759 al 1771, Casa Savoia superò la tempesta rivoluzionaria e napoleonica e uscì rafforzata dal Congresso di Vienna con l’acquisto della Liguria. Estintosi il ramo principale della dinastia con la morte di Carlo Felice, ascese al trono il ramo cadetto dei Savoia-Carignano, che con Carlo Alberto e il figlio e successore Vittorio Emanuele II condusse la nazione italiana, attraverso le guerre del Risorgimento, all’unità e all’indipendenza. Il 17 marzo 1861 venne promulgata la legge del Regno di Sardegna, con cui il Re Vittorio Emanuele II assumeva per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia. Il successivo 21 aprile 1861 fu promulgata la prima legge del nuovo Regno d’Italia – significativamente nel giorno del Natale di Roma, anniversario della fondazione romulea dell’Urbe – con cui venne stabilita la formula «per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia» da apporre agli atti regi. Ma questo non sarebbe mai stato possibile se Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele, secoli prima, non fossero stati sublimi interpreti e realizzatori di quella vocazione italiana di Casa Savoia, che dall’arrivo del Conte Oddone a Torino nel 1046 alla proclamazione del Regno d’Italia, costituisce una costante della nostra storia nazionale.
Carlo Altoviti
[1] G. OLIVA, I Savoia. Novecento anni di una dinastia, Mondadori, Milano 1998, p. 190.
[2] C. MARAZZINI, Storia linguistica di Torino, Carocci, Roma 2012, p. 39
[3] G. VOLPE, Scritti su Casa Savoia, Volpe, Roma 1983, p. 18.
[4] G. OLIVA, I Savoia, cit., pp. 225-227.
[5] G. VOLPE, Scritti su Casa Savoia, cit., p. 19.
[6] ANONIMO ROMANO, Il Genio di Roma, in Politica Romana, 3/1996, Associazione di Studi Tradizionali “Senatus”, Roma 1996, p. 112.
[7] E. RICOTTI, Storia della monarchia piemontese, Barbera, Firenze 1865, vol. III, p. 426.
[8] R. BERGADANI, Carlo Emanuele I, Torino 1927, p. 163.
[9] F. COLLINI, L’idea nazionale e la Casa di Savoia, Jesi 1881, p. 93.
[10] G. VOLPE, Scritti su Casa Savoia, cit., p. 22.
[11] S. CONSOLATO, Il Risorgimento come sviluppo della storia sacra di Roma (Parte Prima), in Politica Romana, 4/1997, Associazione di Studi Tradizionali “Senatus”, Roma 1997, p. 150.
[12] F. COGNASSO, I Savoia, Milano, Corbaccio 1999, p. 385.
[13] G. OLIVA, I Savoia, cit., p. 229
[14] V. CASTRONOVO, CARLO EMANUELE I, Duca di Savoia, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XX, Treccani, Roma 1977.
[15] F. COGNASSO, I Savoia, cit., pp. 384-385.
[16] ANONIMO ROMANO, Il Genio di Roma, cit., p. 116.
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