Roma, 29 gen – Una delle tendenze più comuni tra i fruitori di pellicce sintetiche è credere che queste si generino da sole, senza creare alcun impatto di tipo ambientale. Il materiale è sintetico, sull’etichetta compare la scritta “animal free”, “eco-fur”, “green” “cruelty free”, nessun animale è stato abbattuto o sfruttato per produrre il pelo che tanto impazza nella moda di questi ultimi anni: e via a comprare a cuor leggero quintali di cappotti pelosi, sciarpe, berretti, stole, guanti, guardando in cagnesco le sciure visonate. Sono anche più economiche di quelle vere!
Nessun attenzione per l’ambiente
Tutti contenti, quindi. No? No. Nel processo produttivo che porta al confezionamento di una pelliccia finta (chiamarla ecologica è ridicolo) l’attenzione per l’ambiente tanto decantata dai sostenitori della “scelta etica” è il primo elemento che va a farsi benedire. Innanzitutto bisogna tenere conto del fatto che le fibre sintetiche che le compongono non sono biodegradabili e rimangono nell’ecosistema. Così quando i cappotti di pelo finto saranno passati di moda e le adolescenti gretine (o le loro madri) li avranno gettati nei sacconi dell’immondizia, sarà come aver buttato centinaia di migliaia di bottiglie di plastica senza riciclarle.
Sfruttamento umano
Inoltre questi tessuti sono spesso prodotti a bassissimo costo in Pakistan, in Bangladesh o in Cina da persone, talvolta donne o bambini, in condizioni di semischiavitù. Così, nel sud-est asiatico migliaia di bambini si consumano mani, occhi e polmoni per permettere alle pasionarie animaliste di bearsi dei loro capi “cruelty free”. I bimbi pakistani non hanno diritto a una vita “cruelty free”, per caso?
Per salvare gli animali, si distrugge l’ambiente?
Intendiamoci: con questo articolo non vogliamo negare l’enorme sofferenza patita dagli animali negli allevamenti intensivi; ma nemmeno vogliamo tacere sul fatto che, secondo quanto riporta Agi nel 2014 la Commissione Europea ha stabilito, dopo una serie di analisi, che l’acrilico – una delle componenti delle eco pellicce – “è la sostanza con l’impatto ambientale peggiore”.
Dall’altra parte della barricata vi sono le associazioni dei pellicciai, che in questo ultimo periodo si stanno mobilitando per promuovere la pelliccia come opzione più sostenibile e naturale, investendo in programmi che certifichino la salute e il trattamento degli animali, l’igiene delle aziende agricole, l’allevamento e la gestione ambientale – come si fa negli allevamenti di bestiame destinato al consumo alimentare. I pellicciai insistono sul fatto che la pelliccia naturale ha un ciclo di vita più lungo della sintetica, è biodegradabile e la sua lavorazione prevede l’utilizzo di una quantità minore di sostanze chimiche.
La risposta “chic” (che pochi si possono permettere)
L’unica risposta concreta ai problemi legati all’impatto ambientale del pelo sintetico l’ha dato il marchio di Stella McCartney che ha deciso di mettere sul mercato dal prossimo inverno 2020-21, pellicce realmente “green” lanciando Koba Fur Free Fur, eco-pelliccia a base di mais sostenibile e poliestere rigenerato, biodegradabile e riciclabile, e basato sul riutilizzo delle materie prime. Ovviamente avrà un prezzo proibitivo, e rimarrà, per il momento un feticcio costoso per pochi eletti.
Cristina Gauri
3 comments
Vorrei condividere questo articolo su Instagram… Tuuti i miei amici e conoscenti hanno solo IG e anche io 🙂
Scusate per il mio pessimo Italiano. Thanks from Nesy (London)
your italian is very good and so much better than my english ! welcome aboard Nesy !
Tanto, per ora, con questi non-inverni di pellicce e cappotti non ne abbiamo proprio bisogno…