Roma, 21 gen – L’amministrazione della giustizia traballa come al suo solito, e la commistione tra attività politica e attività giudiziaria crea l’ormai frequente limbo di incertezza in cui le ipotesi più disparate divengono concrete. O possono divenir tali.
Entrambi i modi di affrontare la questione migratoria sono leciti. Entrambi i voti espressi verso l’una o l’altra modalità lo sono altrettanto. Indubbiamente, nel momento in cui una maggioranza parlamentare sostiene un governo che sposa una delle due visioni sussistono i presupposti affinché il lavoro dell’esecutivo proceda spedito e senza intoppi. È per questo che suonano sinistre (in tutti i sensi) le iniziative di alcune procure che da tempo chiedono di poter processare Salvini per il suo lavoro di contrasto all’immigrazione clandestina di massa, lottando anche contro le Ong che pensano di poter dettare l’agenda dei lavori ai governi italiani.
La diffidenza con cui valutiamo il lavoro di certi magistrati deriva dal fatto che Salvini, come molti altri in passato, ha fatto che quel ha fatto, e che promette di rifare anche in forma amplificata, solo grazie ai voti ottenuti alle ultime elezioni politiche di due anni fa. La retorica dell’uomo solo al comando è una sciocca forma di autolesionismo della sinistra che continua a blaterare idiozie sulla pericolosa deriva autoritaria intrapresa dall’Italia. La verità è che un ministro, col lavoro condiviso con tutto il governo, deve poter lavorare in base al mandato ricevuto dagli elettori senza che ad ogni alito di vento vengano agitate manette e ghigliottine. Il processo a Salvini nega questo principio.
Quale giustizia
E la sentenza di Cassazione che conferma l’ordinanza di scarcerazione di Carola Rackete dà la brutta sensazione che un privato cittadino, oltretutto straniero, possa opporsi al governo di uno Stato sovrano sino ad imporgli una determinata condotta, sino a scrivergli sostanzialmente l’agenda. Lo scrisse su Twitter la Rackete dopo essere stata scarcerata: “Questo è un verdetto importante per tutti noi attivisti impegnati nel salvataggio in mare! Nessuno dovrebbe essere perseguito perché aiuta le persone bisognose”. Si tratta di un valore simbolico immane perché, basta leggere queste deliranti righe, da quella decisione presa da un giudice italiano si apre una prateria di civile illegalità ove tutti potranno scorrazzare quando vorranno minare le basi dello Stato di diritto e della nostra sovranità.
E se le manette tintinnano e il patibolo viene issato, non possono non far capolino sinistra e grillini, entrambi esperti del meccanismo per cui la giustizia viene pervertita e trasformata in azione politica, nel rispetto di una tradizione tutta italiana per cui, volente o nolente, l’agenda parlamentare viene scritta dai magistrati. Hanno tenuto un comportamento vergognoso, non presentandosi nella giunta per le immunità dove si sarebbe votato per far processare Salvini per abuso di potere e sequestro di persona, due ipotesi di reato che appunto minano l’autonomia del potere esecutivo. Il tutto per paura di servire un assist al leader leghista che, in ogni caso, utilizzerà questa loro mossa come ennesimo cavallo di battaglia negli ultimi giorni di campagna elettorale.
La goffa mossa della sinistra
L’utilizzo che la sinistra e i grillini fanno delle istituzioni è uno scandalo che grida vendetta, perché se fossero stati veramente convinti della commissione di quei reati da parte di Salvini avrebbero dovuto votare per farlo processare senza tener conto di quei tecnicismi da palazzo. Al contrario non si sono palesati, e questa è la conferma evidente di come loro non credano minimamente alle accuse mosse contro il leader del Carroccio, ma gli basta la possibilità di levarselo di torno per via giudiziaria per eccitarsi febbrilmente. Perché per il governo giallorosso Salvini è un sequestratore di immigrati solo dal 27 gennaio, ossia dopo le elezioni in Emilia Romagna, mentre prima rimane banalmente il solito fascista. Di democratico, loro, hanno solo il nome di partito.
Lorenzo Zuppini