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Eroi dimenticati: Alessandro Anselmi, l’alpino “spagnolo”

by Tommaso Lunardi
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alpino, penna nera

Roma, 11 gen – Le battaglie del fiume Don furono delle trasposizioni, quasi, delle celeberrime undici offensive sull’Isonzo. Dei carnai che portarono a delle sostanziali situazioni di stallo e di morte. Molti soldati italiani, in forza all’Armir, trovarono sulle sponde di quel fiume la propria morte. Tra di questi, spicca la figura di un giovane originario della terra dei tori, Alessandro Anselmi.

L’alpino di Tortosa

Tortosa è un grande centro della Catalogna. Alessandro Anselmi vi nacque nel 1913 da Alessandro e Anita, due italiani originari di Imperia. Tornati in Italia quando Anselmi era adolescente, cominciò il periodo di inserimento all’interno della società italiana per la famiglia. Alessandro frequentò l’università di Genova nella facoltà di scienze economiche e commerciali. Nel 1937, dopo aver terminato gli studi, si arruolò volontario nella Scuola Allievi Ufficiali alla fine della quale venne promosso al grado di sottotenente.

Alessandro Anselmi divenne alpino l’anno successivo. Al termine della preparazione, venne congedato per un anno. Appena prima dell’entrata in guerra dell’Italia.

Dall’Albania alla Russia

Il primo impegno di Alessandro Anselmi come soldato fu in Albania durante l’offensiva italiana sul fronte greco e sull’Epiro. Della sua avventura sulle Alpi elleniche non si conosce molto ma, dopo circa un anno dall’inizio delle ostilità, venne richiamato in patria. La sua preparazione ulteriore si concretizzò nell’impiego della sua 4° Divisione alpina “Cuneense” nell’attacco alla Russia sovietica.

Il 20 gennaio 1943, dopo mesi di combattimento, Alessandro Anselmi venne ucciso in una dura controffensiva russa. In suo onore fu concessa la medaglia d’oro al valor militare: “Già distintosi per ardire e per valore in precedenti azioni, comandante di caposaldo avanzato, attaccato da forze superiori, riusciva a immobilizzare il nemico, infliggendogli gravissime perdite. Poi, con irrefrenabile slancio, alla testa dei suoi alpini contrattaccava costringendo l’avversario, dopo cruenta lotta, a ripassare il Don battuto e in disordine. Delineatasi la crisi del ripiegamento, confermava luminosamente le sue elevate virtù militari, infondendo con l’esempio fede e spirito aggressivo nei propri dipendenti. Nel corso di un’intera giornata di sanguinosa lotta, ricevuto l’ordine di aprire un varco al grosso della colonna assolveva l’arduo compito e, trascinando gli alpini all’attacco, sotto fuoco micidiale, dava ancora ripetute prove di valore. Ferito, rifiutava ogni cura continuando a combattere e ad incitare i propri uomini, soverchiati dal numero e dai mezzi. Contrattaccato, resisteva fino ai limiti di ogni umana possibilità e, sebbene ferito una seconda volta, trovava ancora la forza di trascinare i superstiti in un travolgente contrassalto. Colpito per la terza volta, immolava la propria esistenza alla testa del reparto ai suoi ordini”.

Tommaso Lunardi

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1 commento

Fabio Crociato 14 Gennaio 2020 - 9:31

Il profilo di Alessandro Anselmi mi esorta a consigliare nella formazione scolastica italiana la lettura del testo di G.Bedeschi “Centomila gavette di ghiaccio”, senza alcun commento politico. Penso seriamente che i giovani possano trarne beneficio per resistere in modo più onorevole alle avversità della vita… (e non annegare sempre in un bicchiere d’ acqua!).

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