Roma, 24 set – Le destre e le sinistre europee sono da qualche giorno in agitazione per via di una risoluzione approvata il 19 settembre dal Parlamento europeo, dal titolo “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa“. Il senso del lungo pistolotto è che, per riassumere brutalmente, il nazismo è cattivissimo, ma in fondo anche il comunismo sovietico era un po’ la stessa cosa. Non proprio uguale, ma quasi. Nella risoluzione si sottolinea “che la Seconda guerra mondiale è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop, e dei suoi protocolli segreti”. Inoltre si “ricorda che i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità”, per poi esprimere “inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali” ricordando che “alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti”.
Non c’è da gioire
La cosa sta ovviamente entusiasmando i commentatori di destra, per la tanto invocata equiparazione tra nazismo e comunismo, ma per la stessa ragione sta allarmando quelli di sinistra. Ma c’è veramente da gioire, per questa presa di posizione? Ovviamente no. Per tre motivi.
a) Si tratta di un’operazione “memoriale” ed è noto che, di questi tempi, quando si sente parlare di memoria è meglio mettere mano al revolver. Nella neolingua di questa società impazzita, come è noto, “memoria” non è più il nome di una dimensione storica (ciò che tratteniamo del passato per progettare il nostro futuro), ma è al contrario una dimensione post-istoriale: si tratta di tenere sempre a mente una sorta di galleria degli orrori il cui ricordo impedisca ai contemporanei di darsi un destino. Una sorta di overdose di morale, che renda impossibile ogni divagazione nel presente dall’orizzonte liberal-libertario, come lo chiama Matthieu Baumier. Il paragone tra nazismo e comunismo è ovviamente un tema ricorrente della riflessione storica, dalla Arendt a Nolte, ma qui non c’entra nulla di tutto questo.
Indottrinamento e banalità democratica
Non si tratta di storiografia, ma di indottrinamento. Entrare quindi nel merito delle differenze e delle similitudini tra Hitler e Stalin è quindi già concedere a tale risoluzione un credito che non merita: l’unica cosa che conta, in questi discorsi, è l’uccisione della riflessione critica tramite annegamento nel flusso della banalità democratica, per cui l’unico criterio per giudicare il passato sono i “milioni di morti” e l’insegnamento che da essi dobbiamo trarre “affinché ciò che è accaduto non si ripeta”. Che nel cono d’ombra dei “milioni di morti” che da sempre impedisce ogni riflessione serena sul nazionalsocialismo sia ora parzialmente finito anche il comunismo, non è affatto una consolazione. Del resto lo stesso comunismo, che pure è stato un’esperienza per molti aspetti ripugnante, va comunque studiato nella sua complessità, non certo riducendolo al piattume savianesco della contabilità cimiteriale.
Ulteriore restrizione della libertà di pensiero
b) Si tratta, secondariamente (ma è un aspetto che discende direttamente dal primo punto), di una ulteriore restrizione della libertà di pensiero e di espressione. Il che non è un tema da affrontare rispolverando la citazione trita e ritrita dello pseudo-Voltaire. No, io non darei affatto la vita per far esprimere Raimo, Zerocalcare e la Murgia, anche se obiettivamente avverto meno di loro il trasporto morboso per la libido censurandi. La considerazione è meramente pratica, politica, non etica: rendere impresentabili le opinioni comuniste non dà maggiore spazio di manovra a quelle fasciste, vere o presunte, né determina una sorta di “pareggio” per cui, alla fine, mal comune mezzo gaudio. Al contrario, peggiora la libertà di tutti, restringe sempre di più il perimetro di ciò che si può dire, rafforza sempre di più il pensiero unico liberal-libertario e rende attaccabile il pensiero antagonista su un ulteriore fronte (l’onnipresente etichetta squalificante di “rossobruno” non intende forse creare di per sé una categoria di reprobi onnicomprensiva che vada da destra a sinistra?).
La parentela tra comunismo e ideologie dominanti
c) Il piacere segreto di vedere i compagni fuori dai giochi è comunque destinato a restare frustrato. L’intima parentela politica, filosofica, economica, metafisica tra il comunismo e tutte le altre ideologie egualitarie, comprese quelle attualmente dominanti, non può essere cancellata con una risoluzione del Parlamento europeo. Essa resta un dato acquisito non solo della storia del pensiero, ma anche e soprattutto dell’intima percezione di tutti gli attori in campo. L’idea che i comunisti siano dei bravi democratici che sbagliano, dei liberali dai metodi un po’ troppo spicci, al limite degli assassini con delle buone intenzioni, è certamente superficiale come riflessione storiografica in sé, come notò anche Alain de Benoist in un suo scritto di qualche anno fa, ma è un’impressione che tradisce la percezione implicita di una verità molto più profonda. Ovvero la segreta parentela di tutte le ideologie egualitarie e invece la radicale, ontologica diversità rispetto a esse del fascismo, in tutte le sue propaggini politiche e culturali. Il comunismo, in questa società, sarà sempre un male relativo, mai il male assoluto. Aspettarsi quindi un’equidistanza, un’imparzialità tra gli eredi di “fascismo” e “comunismo” in nome di una comune condanna del totalitarismo generico è quindi ingenuo. E, forse, anche un pochino vile.
Adriano Scianca
1 commento
Condivisibile ed interessante. Vorrei solo segnalare che il comunismo è stata una fase del capitalismo (di Stato e diciamo primordiale), che evidentemente non è più utile applicare, anzi imbarazzante, per taluni quindi da nascondere, da buttare nella spazzatura. Ciò non toglie la futura possibilità di riciclaggio sotto altro nome e con ulteriori “ingredienti”. Chissà?!