Roma, 10 mag – Giangiacomo Feltrinelli era un aristocratico. La sua famiglia era tra le più ricche d’Italia e il Giangi, soprannome che da partigiano cambiò col nome di copertura Osvaldo, ereditò il titolo di Marchese di Gragnano. Il padre era presidente della Edison, magna pars del Credito Italiano, e proprietario della Banca Unione, già Banca Feltrinelli. Il giovane rampollo in erba non ebbe così modo di apprezzare i fasti della dittatura del proletariato intenta a emancipare il lavoro dall’oppressione del capitale, remote chimere narrate in Democrazia e Dittatura da Lenin. La Russia zarista era stata sostituita con l’Unione Sovietica quattro anni prima che Giangi venisse alla luce. Il gelo dei soviet era lontano dal mite clima dell’Argentario, dove alla villa La Cacciarella il piccolo marchese muoveva i primi passi.
Giangiacomo Feltrinelli era un fascista. Da subito refrattario alla dorata ovatta casalinga, Giangi mostrò di avere uno spirito ribelle. A tal punto che durante la seconda guerra mondiale decise di tappezzare la sontuosa casa di famiglia di manifesti inneggianti alla “vittoria immancabile dell’Asse”. Cambiò idea soltanto nel 1944, folgorato sulla via dei liberatori statunitensi, d’altronde i capitalisti avrebbero tutelato meglio il capitale di famiglia. Si arruolò così nella divisione Legnano, che combatteva al fianco della V Armata americana.
Giangiacomo Feltrinelli era un antifascista. Giangi non amava lo studio, era piuttosto ignorante e si infatuava facilmente dei semicolti. Come scrive Indro Montanelli ne L’Italia degli anni di piombo, “non leggeva i libri, li sfogliava”. A guerra finita decise di iscriversi al Partito Socialista, per poi cambiare di nuovo idea e passare al Partito Comunista.
Il nobile editore
Giangiacomo Feltrinelli era un reazionario. Nel 1954, il partigiano Osvaldo fondò la Giangiacomo Feltrinelli Editore, destinata a diventare una delle case editrici più progressiste d’Italia. Inizialmente però Giangi fece pubblicare due libri oggetto di una feroce campagna diffamatoria da parte proprio del suo partito: Il dottor Zivago di Pasternak (prima mondiale) e Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Entrambi capolavori considerati dal Pci reazionari, in odor di latente fascismo, dunque da mettere all’indice. Prova ne furono le mobilitazioni sin dal principio affinché il libro di Pasternak non venisse pubblicato.
Giangiacomo Feltrinelli era un guerrigliero. In seguito a un folgorante viaggio nella Cuba castrista, Giangi tornò in Italia deciso a trasformare la Sardegna nella Cuba del Mediterraneo. Grazie ai documenti pubblicati nel 1996 in seguito alle indagini della Commissione Stragi, sono emersi i legami che l’aristocratico iscritto al Pci aveva instaurato negli anni sessanta con vari personaggi dell’estrema sinistra e dell’indipendentismo sardo al fine di attuare il suo progetto rivoluzionario. Giangi intendeva affidare l’arduo compito non a un barbuto caraibico, ma al bandito Graziano Mesina, protagonista di una lunga scia di crimini e sequestri.
Giangiacomo Feltrinelli era un gappista. Nel 1970 Giangi fondò i Gruppi di Azione Partigiana (GAP), ovvero un gruppo armato paramilitare che intendeva organizzare un esercito popolare di liberazione dalla Repubblica democratica italiana. Niente guevarismo però, Giangi voleva l’appoggio economico e militare dell’Urss. La gran parte dei membri del Gap finirono nelle Brigate Rosse. Una pistola di proprietà di Giangi fu usata nel 1971 per assassinare ad Amburgo il console della Bolivia, Roberto Quintanilla.
Giangiacomo Feltrinelli morì il 14 marzo del 1972 in un’esplosione nei pressi di un traliccio dell’alta tensione a Segrate. La sua tragica fine è tuttora avvolta nel mistero, qualcuno ipotizza che fu un omicidio, altri sostengono che stesse preparando un’azione di sabotaggio.
Le immacolate edizioni
Giangiacomo Feltrinelli non fu un editore pacifista e immacolato. Il suo concetto di democrazia, come abbiamo visto, era piuttosto lontano da quello che pretendono di incarnare i partiti di sinistra che oggi straparlano di antifascismo. Era diverso pure da quello dei censori che hanno estromesso Altaforte dal Salone del Libro di Torino, perché andava oltre, andava verso la “dittatura del proletariato”.
Oggi 120 librerie della casa editrice fondata da Giangiacomo Feltrinelli hanno chiesto, con una lettera spedita alla direzione, che il libro intervista a Matteo Salvini non sia loro imposto per la vendita. E dire che nei primi tre mesi del 2019 il colosso editoriale ha fatto ordini ad Altaforte per centinaia di copie e per titoli diversi. Ecco, nonostante la storia del guerrigliero Osvaldo, nonostante i boicottaggi e le censure dei probi antifascisti che gestiscono molte librerie della casa editrice da lui fondata, noi non ci sogneremmo mai di chiedere che un libro della Feltrinelli sparisca dagli scaffali.
Non ci verrebbe mai in mente di mettere all’indice, ad esempio, gli splendidi volumi del Mare della Fertilità, la meravigliosa tetralogia di uno scrittore giapponese che si uccise per denunciare al Sol Levante e al mondo, la decadenza villana a cui andavano incontro. Quel sublime scrittore era il fascistissimo Mishima Yukio, pubblicato da Feltrinelli. Lo troverete al Salone del Libro.
Eugenio Palazzini
1 commento
..se per questo pubblicano anche “i protocolli dei savi di Sion”…..