Roma, 7 apr – Ammirando la serie di opere artistiche prodotte nel corso degli anni potremmo ricostruire la parabola della figura di Napoleone Bonaparte, anche se potrebbe essere fuori luogo parlare di “parabola” tenendo conto dell’influenza che egli ha improntato nella storia: il discorso, in questo caso, assume una linearità diversa, considerando l’esplosione del suo mito avvenuta già dopo la sua morte, nel 1821.
In un quadro di metà Ottocento, dell’artista Bouchot, Napoleone viene raffigurato nel momento della sua abdicazione avvenuta il 4 Aprile del 1814 a Fontainebleau: è uno dei passaggi più incruenti delle sue vicende e il segno di una sconfitta già iniziata nella campagna di Russia.
Ma è altresì un dipinto simbolo della sua liturgia, nel periodo del romanticismo per cui gli eroi sconfitti, descritti ora con un tono più umano, vengono mitizzati maggiormente. Non a caso dopo la sua morte persino chi lo odia spenderà parole di ammirazione nei suoi confronti: il visconte de Chateaubriand per esempio, nemico del generale nato ad Ajaccio, dirà che “Napoleone limitò le libertà del suo presente, ma preparò le libertà del futuro”. Si pensi inoltre alle parole spese da Victor Hugo – per rimarcare la sontuosità dell’opera politica e militare – nel suo famoso romanzo I miserabili in cui afferma che, sostanzialmente, “se non fosse piovuto nella notte dal 17 al 18 Giugno 1815, l’avvenire dell’Europa sarebbe stato diverso”.
Il culto di Napoleone
Come detto, il paradosso della sua parabola sta nel fatto che, anziché cadere nell’oblio e quindi essere dimenticato, Napoleone consacra la sua leggenda dell’uomo che diventa mito proprio negli ultimi atti della sua vita. Ovviamente ciò non sarebbe accaduto se prima non si fosse imposto, sfruttando le instabilità del direttorio, nello scenario politico e militare di una Francia che non aveva ancora compiuto la sua rivoluzione.
Nel Memoriale di Sant’Elena, una serie di considerazioni raccolte da Emmanuel de Las Cases, Napoleone afferma che capì la grandezza del suo destino durante la campagna d’Italia, in cui sconfisse gli austriaci. È in questa fase che Napoleone ha il culto di sé e lo trasmette agli altri: sono i primi momenti in cui il futuro imperatore dimostra di essere un genio mostrando la sua visione strategica che modernizzerà la guerra.
Napoleone sapeva precorrere le mosse del nemico, sapeva maneggiare ogni tipo di artiglieria ma soprattutto sapeva tramandare l’immagine grandiosa di sé anche ai suoi uomini. Per fare tutto ciò dapprima dà alle stampe giornali propagandistici – Courrier de l’armée d’Italie e La France vue de l’armée de l’Italie – in cui si delinea una personalità quasi onnipotente (“egli è dappertutto e vede tutto”) con l’intenzione di rinsaldare la devozione degli uomini nei suoi confronti; ma soprattutto, egli si circonda di artisti, uno su tutti David, ed inizia a forgiare la sua icona non priva di retorica propagandistica certo, ma comunque colossale agli occhi del pubblico.
La tela Napoleone valica il San Bernardo è forse la più famosa, l’opera in cui David – già impegnato nella rivoluzione – vede in Napoleone la continuazione e il concretizzarsi degli ideali rivoluzionari, rappresentandolo in una posa epica e di straordinario effetto spettacolare; un Napoleone che con il suo sguardo freddo domina il suo cavallo imbizzarrito (in realtà egli attraversa il San Bernardo a cavallo di un mulo) lasciando alle sue spalle il vecchio mondo, con il suo mantello leggero e l’indice che punta verso la conquista, a testimonianza del suo ottimismo verso l’avvenire.
Più in generale, tutte le operazioni ritrattistiche da lui richieste sono fatte allo scopo di decorare il suo culto il quale riprende ora gli antichi romani, ora Carlo Magno. Oltretutto, i ritratti non rappresentano mai il suo vero volto o le sue reali fattezze fisiche perché, per Napoleone, non è fondamentale descrivere il carattere fisico di un uomo ma esprimere e raffigurare la persona in virtù della grandezza del suo destino.
Il genio politico
Il bambino riservato che legge taciturno nel giardino nella scuola militare di Brienne, l’uniforme da sottotenente conquistata a sedici anni nella scuola dei cadetti sono elementi che accompagnano la sua umile gioventù: una gioventù, però, già condizionata dall’impulso di voler superare la miseria e di studiare molto per poter governare gli altri.
Non impiegherà molto tempo a raggiungere questi obiettivi passando prima al colpo di stato del 18 Brumaio, poi all’incoronazione nella cattedrale di Notre Dame: per comprendere la magnificenza e la grandiosità del suo genio ci si può riferire proprio a quest’ultimo episodio in cui, dopo essersi accordato con il papa, pone a se stesso la corona di imperatore, affermando un concetto di religione – dal suo senso etimologico relegĕre, cioè raccogliere – molto vicino a quello pensato da Rousseau: le società si fondano su un credo comune per cui Dio non è necessario, ma la religione sì e in questo modo Napoleone assorbe in sé tutte queste credenze.
Anche questa scena, peraltro, viene dipinta da David e il quadro, oltre ad essere di enormi dimensioni, è altresì simbolico perché per la prima volta il papa è ritratto in ombra per lasciare spazio al vero protagonista della visuale: Napoleone appunto.
Il genio politico di Napoleone sta proprio nel fatto che egli fa credere ai francesi della rivoluzione che i principi di questa fossero in lui, nonostante l’episodio dell’auto incoronazione possa sembrare contraddittorio, egli è il generale che ha difeso i principi della rivoluzione diffondendone il messaggio.
Nel Memoriale di Sant’Elena Napoleone rivendica infatti un filo conduttore con Robespierre affermando che, la rivoluzione, nonostante i suoi errori, fosse stata la vera causa della rigenerazione dei costumi; ma soprattutto lascia la sua visione di un’Europa di popoli liberi ed unificati: “L’impulso è dato, e penso che dopo la mia caduta e la scomparsa del mio sistema, non vi possa essere in Europa altro grande equilibrio possibile se non l’agglomerazione e la confederazione dei grandi popoli”. Da qui l’immagine di un imperatore del popolo che ha contrastato le monarchie assolute del suo tempo per unificare l’Europa e pacificarla.
“Io non intendevo conquistare nulla: a me bastava la gloria di aver agito con rettitudine e la benedizione dell’avvenire”: duecentocinque anni fa Napoleone abdicava, consegnandosi alla sua penultima battaglia, quella di Waterloo. La penultima, perché l’ultima è quella che sta vincendo tutt’ora: contro il tempo e contro la storia.
Lorenzo Donatelli