Roma, 04 apr – I salari netti, nell’ultimo decennio, hanno perso, in media, 5.000 euro. Questo è il risultato di uno studio dell’Isrf Cgil. Secondo Nicola Cicala, direttore dell’Istituto, tra il 2011 e il 2018, “L’Indice dei prezzi al consumo cresce del 9,9%, mentre i salari reali del 9,4%: questo significa che i lavoratori si ritrovano in tasca una perdita netta del 4%”. Stiamo assistendo dunque, come spesso sottolineato, ad un impoverimento di quello che era il ceto medio italiano.
Le cause della crisi e la risposta delle parti sociali
Secondo Il Sole 24 Ore, la contrazione salariale unita alla bassa crescita “ha creato il fronte comune di imprese e sindacati per chiedere al governo misure che possano incidere su lavoro e investimenti”. Il quotidiano di via Monte Rosa parla di un nuovo patto per la fabbrica che vede coinvolti Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. I rappresentanti dei lavoratori e degli industriali concordano sulla scarsa efficacia dei provvedimenti del governo. C’è da chiedersi cosa hanno fatto in questi anni per contrastare la deriva che ha portato l’Italia ad avere una crescita economica praticamente insignificante. Chi ha appoggiato tutti i governi degli ultimi anni, dovrebbe farsi un attento esame di coscienza. Così però non è. Quindi si preferisce scaricare tutte le colpe sui nuovi arrivati.
Facciamo qualche esempio. Il presidente dell’Isrf, Agostino Megale, sostiene che: “I contratti nazionali di lavoro anche nel decennio di crisi hanno assolto al loro compito, ossia tutelare i salari dall’inflazione, tant’è che se guardiamo i salari contrattuali e quelli reali vediamo che sono sostanzialmente allineati”. In pratica la Triplice ha svolto bene il suo compito. Dall’altra parte della barricata, c’è chi invoca soluzioni estreme. Ed è il caso del presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi. Secondo l’imprenditore lombardo è necessario eliminare il reddito di cittadinanza, 80 euro e quota cento. La cura shock servirebbe a destinare “una quota per contrastare la povertà, una quota per gli investimenti pubblici e a supportare un drastico taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori con redditi fino a 35.000 euro, ossia la fascia sociale che ha sofferto di più negli ultimi anni”.
I datori di lavoro, da parte loro, giustamente si scagliano contro l’eccessivo cuneo fiscale, dimenticando le loro responsabilità nella precarizzazione del mercato del lavoro. Per non parlare della piaga della delocalizzazione, che porta molti nostri imprenditori a portare all’estero la produzione. Inoltre, Confindustria dovrebbe ricordare ai suoi iscritti lo scarso impegno negli investimenti privati. Insomma, Viale dell’Astronomia è scarsamente credibile quando impartisce lezioni sulla difesa dell’economia italiana.
Bassa produttività e penuria di investimenti
Lo stesso Megale non manca infatti di sottolineare che una delle cause maggiori della contrazione salariale è legata alla bassa produttività. A questo proposito, il presidente dell’Isrf sottolinea come: “Il tasso di crescita in Italia è troppo basso: rispetto a Germania e Francia ci sono oltre 20 punti di differenza. Mentre noi cresciamo di 3 punti, la Germania è cresciuta di 27. E tutto questo è il frutto di una riduzione degli investimenti: nel nostro paese si sono ridotti sia quelli pubblici che quelli privati, mentre in Germania e Francia hanno continuato a crescere”. In pratica non cresciamo perché non investiamo. Per capire questo non serve un economista. Basterebbe un contadino per spiegare che chi semina poco e male difficilmente potrà avere un buon raccolto.
Difatti, le politiche di austerità di questi anni (peraltro sostenute dalle parti sociali) hanno indebolito fortemente la nostra economia. Questo, però, non basta a giustificare questi dati desolanti. Se vogliamo uscire dalla gabbia della scarsa crescita è necessario impiegare le risorse pubbliche in maniera più proficua. La nostra scarsa competitività dipende anche da fattori endogeni non solo da quelli esogeni. È necessario colmare il nostro divario infrastrutturale con investimenti mirati. Inoltre, c’è da riformare completamente la nostra macchina pubblica: troppo lenta per competere negli scenari globali.
Come si vede la contrazione salariale è solo una conseguenza di molte scelte errate compiute in questi anni. Se vogliamo, però, ribaltare questo trend negativo il cambiamento deve ripartire da noi, superando i particolarismi che continuano a tarparci le ali.
Salvatore Recupero