Roma, 3 apr – Dalla tragica vicenda del Ponte Morandi ormai è chiara una lezione: le autostrade sono il ventre molle del governo gialloverde. La sublimazione del “vorrei ma non posso” che oggi trova un nuovo terreno di scontro: quello dei pedaggi.
La riforma dei pedaggi non piace alle autostrade
Dopo aver bloccato – ma solo in parte, e per alcuni “a tempo” – ad inizio anno i “classici” aumenti tariffari, ministero delle Infrastrutture e Autorità dei trasporti hanno avviato un iter per definire nuovi meccanismi di remunerazione dei concessionari. L’obiettivo è quello di legare gli eventuali incrementi dei pedaggi al livello del servizio offerto, insieme ad una sorta di “tetto” nel caso in cui i profitti superino le previsioni. Il tutto non solo per le nuove concessioni, ma anche quelle attualmente in essere.
L’idea non sembra aver trovato concordi le società che gestiscono le arterie viarie, riunite nell’associazione di categoria Aiscat, le quali accusano gli enti regolatori di voler porre in essere una “revisione unilaterale” che presenterebbe “profili di grave illegittimità”. Sul piede di guerra è soprattutto Autostrade per l’Italia, che evidenzia come le sue tariffe siano “già oggi ampiamente inferiori alla media delle altre concessionarie italiane e alle tariffe medie applicate nell’Ue”. E ricorre perfino ai toni duri, additando la prevista riforma come illegittima dal punto di vista dell’ordinamento comunitario e perfino della Costituzione.
Il governo cederà?
Alle critiche ha risposto il titolare delle Infrastrutture Danilo Toninelli. “L’Authority dei Trasporti ha il mandato, per legge, di rivedere le concessioni delle #autostrade in essere nel momento in cui si rinnovano i piani finanziari”, ha spiegato in un tweet. Aggiungendo poi la stoccata: “Aiscat difende extraprofitti e privilegi gestori privati. Noi lavoriamo per l’interesse pubblico”.
Basterà? Toni così caldi non si vedevano dal terribile crollo di Genova, quando la nazionalizzazione del settore sembrava imminente. Poi sappiamo bene com’è andata a finire.
Filippo Burla