Roma, 7 nov – Si chiama Robert O’Neill il soldato che il primo maggio 2011 avrebbe ucciso nel compound di Abbottabad (Pakistan) Osama Bin Laden, leader di Al Qaeda e responsabile degli attentati terroristici dell’11 settembre. Il Navy Seal dai capelli rossi e un’espressione fin troppo bonacciona, per appartenere a quella di un freddo e lucido esecutore, ha 38 anni e viene da Butte in Montana.
Una storia americana che sa di “low budget movie” quella di O’Neill, il militare che salva il mondo in virtù di un talvolta stucchevole senso dell’onore di sapore tutto statunitense. O’Neill, la cui identità era fino adesso rimasta segreta e tutelata dall’appellativo di “the shooter”, viene scovato dai giornalisti del Daily Mail, che intervistano il padre Tom.
Tra l’odore di aria fresca del Montana e qualche Grizzly vive la “testa di cuoio”, che ha lasciato le forze armate dopo 16 anni di servizio.
Lo stesso racconta come durante l’operazione decisiva per la cattura e l’uccisione di Bin Laden – Operation Neptune Spear – abbia ucciso il temibile terrorista internazionale sparandogli tre colpi a distanza ravvicinata.
La rivelazione del nome del Navy Seal da parte del Daily Mail, con una punta di malizia, sembra la perfetta anticipazione di un evento mediatico in cui O’Neill apparirà l’11 e il 12 novembre, il documentario “The Man Who Killed Bin Laden“, uno speciale in due puntate che sarà trasmesso sulla Fox di Rupert Murdoch.
La stessa Fox che attualmente in Italia trasmette la quarta stagione di “Homeland”, serie statunitense basata sulla lotta al terrorismo, messa in campo dalla CIA e dall’establishment americano. Quasi per ironia della sorte uno dei personaggi principali della serie è Nicholas Brody, sergente Marine – dai capelli rossi e lo stesso sguardo bonario – sequestrato in Iraq da Al Qaeda per 8 anni e successivamente utilizzato dagli USA per un “richiamo mediatico delle coscienze”, poi riciclato per svolgere un compito più arduo, l’uccisione dell’organizzatore di un attentato terroristico alla CIA, niente meno che il capo della guardia rivoluzionaria Iraniana.
Sempre per ironia della sorte, è singolare come la notizia dell’identità di questo contemporaneo salvatore della patria arrivi tra quelle un po’ meno rumorose dell’invio di una lettera segreta da parte di Obama all’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran.
La missiva porrebbe l’accento sull’interesse comune USA-Iran alla lotta contro l’ISIS, sottolineando però che ogni collaborazione in questo e altri campi è legata al raggiungimento di un accordo globale sul programma nucleare iraniano.
Che la trovata della rivelazione dell’identità di O’Neill non sia la solita carta giocata dalla Casa Bianca per rinvigorire gli animi contro la lotta al terrorismo? Il Navy Seal sembra perfetto per questo compito, origini pure, compimento della missione, ritorno in patria vittorioso e soddisfazione per l’operato svolto. A coronare la perfetta immagine del siparietto democratico-liberale un ingrediente essenziale, il coraggio. Coraggio che non è una singola nota positiva del soldato, ma eredità di famiglia.
Sì perché alle molteplici domande fatte al padre Tom circa una giustificabile paura, relativa alla vulnerabilità della famiglia contro attacchi dell’ISIS, l’uomo risponde: “La gente mi chiede se siamo preoccupati che adesso che la sua identità è nota l’Isis verrà a prenderlo. Io vi dico che dipingerò un grande bersaglio sulla porta della mia casa e dirò: venite pure”.
Trama banale, ma sicuramente per i più attraente. Chissà cosa succederà nelle prossime puntate. Fino alla messa in onda della trasmissione della Fox possiamo accontentarci solo del pullulare virale delle foto di “the shooter” sul web, rimanendo abbagliati dallo sguardo mesto che ha ucciso l’anima del terrorismo internazionale. Perché’ l’America ce lo insegna, il bene sconfigge sempre il male.