Roma, 5 nov – E’ caduto nel vuoto, come era facilmente prevedibile, il “J’accuse” di Matteo Renzi nei confronti del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Il premier italiano ha avuto uno scambio di battute a distanza abbastanza acceso con il nuovo capo dell’esecutivo europeo, ma se l’idea iniziale voleva essere quella di fare la voce grossa a Bruxelles il tentativo del nostro Presidente del Consiglio è risultato ben sotto le aspettative. Nei giorni scorsi Renzi aveva espresso alcune rimostranze sulla linea di austerity dettata all’Italia dal Parlamento europeo, dichiarando che “è cambiato il clima per l’Italia, in Europa non vado a dire ‘per favore ascoltateci’, non vado con il cappello in mano a Bruxelles a farmi spiegare cosa fare”. Puntuale è arrivata la tirata d’orecchie del Presidente Juncker: “A Renzi dico che non sono il capo di una banda di burocrati: sono il presidente della Commissione Ue, istituzione che merita rispetto, non meno legittimata dei governi”.
Le parole più pesanti però sono arrivate durante la conferenza con gli eurogruppi: «Se la Commissione avesse seguito i tecnocrati, il giudizio sul bilancio italiano sarebbe stato molto diverso». Con queste dichiarazioni Juncker ha sottolineato, se ancora ce ne fosse bisogno, una netta subordinazione degli interessi economici nazionali ai dettami dell’UE, dimostrando come il mantra del “ce lo chiede l’Europa” sia ormai un assioma impossibile da rifiutare. e ancora peggio, come le sorti del paese siano sostanzialmente legate a doppio filo a meccanismi totalmente fuori dal nostro controllo.
Il tentativo (quanto meno tardivo) del Presidente Renzi di ritrovare una credibilità interna, ormai persa con gli ultimi governi allineati ai diktat europei, risulta l’ennesimo “euro-fiasco” del governo a guida PD. Nel frattempo le stime dell’Unione Europea sulla ripresa economica italiana sono tutt’altro che rassicuranti: nel 2015 si prevede un nuovo record di debito pubblico mentre restano preoccupanti i dati sulla disoccupazione, ancora ferma ai massimi storici (intorno al 12,6%) e Si affaccia il rischio di una procedura per eccessivo deficit nei confronti dell’Italia.
Michele De Nicolay