Roma, 27 ott – Franklin Delano Roosevelt – un presidente democratico, quindi – aveva fatto della “libertà dalla paura” uno degli obbiettivi che ogni buon governo doveva cercare di raggiungere. Poco più di mezzo secolo dopo, per i nuovi democratici la paura è qualcosa che va dileggiato, non affrontato. Le paure della gente comune non cessano di essere irrise da un sistema mediatico sempre più distante dalla realtà. E ovviamente, le paure connesse al fenomeno dell’immigrazione di massa sono fra quelle sulle quali più si scatena il sarcasmo giornalistico e intellettuale.
I servizi grondanti superiorità morale dei giornalisti di Servizio pubblico, Presa diretta, Ballarò etc fra casalinghe e commercianti esasperati, che sparano a zero sui “migranti” rientrano esattamente in questo senso.
È poi verissimo che sull’immigrazione girino spesso informazioni grossolane, incontrollate, luoghi comuni e pregiudizi. Ma è un meccanismo inevitabile: l’antirazzismo e la xenofilia sono fenomeni d’élite, è normale che chi se ne fa portavoce abbia maggior cura nel darsi una immagine di esattezza formale e rigore filologico. La paura è invece popolare e come ogni fenomeno popolare è istintivo, non elaborato.
Ciò non toglie che la seconda sia dal lato della realtà e i primi siano dal lato dell’astrazione. Il popolo ha ragione, le élite hanno torto.
Sarà pure vero che le urban legends sugli immigrati stipendiati dallo Stato mentre rifiutano sdegnosamente cibi non di loro gradimento negli hotel di lusso in cui bivaccano a nostre spese sono false (lo sono?), ma la frustrazione popolare per una élite culturale e politica che negli ultimi anni ha imboccato con decisione la strada dell’etnomasochismo, delle battaglie di nicchia e di lobby, della scelta antinazionale a prescindere è vera e fondata.
A livello individuale, come noto, le paure sono campanelli d’allarme evolutivi che ci aiutano a orientarci nel mondo. Non devono essere “esatte”, devono essere funzionali. La sensazione di vertigine che ci dà affacciarci dalla finestra di un grattacielo, anche quando non c’è alcun rischio di cadere di sotto, ci fornisce tuttavia un quadro cognitivo immediato, istintivo, di un pericolo potenziale.
La paura per i disastri che l’invasione immigratoria ci porterà e in parte ci sta già portando sarà quindi impresentabile, grossolana e spesso becera, ma ha un vantaggio enorme sulle analisi ben più raffinate dei quotidiani progressisti: affonda le radici nel campo della realtà.
Qui, e solo qui, ha senso essere e ha senso agire. Qui ha senso ritrovare il coraggio, l’unica cosa che può sconfiggere la paura per davvero. Non esorcizzando la realtà, non camuffandola con giochi linguistici. Ma affrontandola e cambiandola.