Roma, 25 ott – Dove non poterono gli 80 euro, visti i dati che ne certificano il fallimento su tutta la linea, il governo ci riprova con il Tfr. L’idea ormai è nota ed è già stata trattata su queste pagine: si veda qui e l’articolo di Walter Parisi.
Nonostante i dubbi in merito, la misura è entrata nella legge di stabilità. Come ampiamente previsto, nel gioco a somma zero dei conti pubblici il solo governo avrà da guadagnarci. Secondo i calcoli allegati al decreto, infatti, il maggior gettito fiscale atteso sarà di 2.25 miliardi per il 2015 e di 2.8 miliardi nell’anno successivo. Le ipotesi su cui si fondano queste cifre sono basate su un’adesione di lavoratori che oscilla fra il 40 e il 60%. Una stima forse fin troppo ottimistica, visto che i più recenti sondaggi danno per “non convinti” quasi sette lavoratori su dieci. Va peraltro osservato che, per i dipendenti pubblici, la facoltà di ottenere in anticipo il trattamento di fine servizio (omologo del tfr nel settore statale) è invece esclusa.
Il maggior gettito per le casse del ministero dell’Economia deriva dal fatto che, è ormai confermato salvo modifiche dell’ultima ora, la liquidazione inserita in busta paga viene equiparata al reddito, e quindi sconta l’aliquota Irpef di riferimento. Nella pressoché totalità di casi, invece, il lavoratore che percepisce il trattamento di fine rapporto gode(va) di un trattamento agevolato, in misura sensibilmente inferiore a quella dell’imposta sui redditi. Secondo una ricerca condotta dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, l’anticipo sarà conveniente solo per chi percepisce redditi lordi fino a 15.000 euro. Oltre questa soglia -e stiamo parlando di redditi lordi, per cui i 15.000 annuali corrispondo a poco più di 1.000 mensili- vi sarà un aggravio proporzionale alla retribuzione percepita mensilmente, rispetto al mantenimento del tfr in azienda che, peraltro, gode di un’automatica rivalutazione annuale composta di una parte fissa e di una legata all’inflazione.
In più, chi deciderà di optare per il versamento immediato, al termine del rapporto non potrà logicamente contare su quanto accumulato durante gli anni: somme anche importanti e che da sempre agiscono come integrazione agli assegni Inps.
Una partita di giro giocata sul futuro dei lavoratori. E con maggiori tasse da pagare.
Filippo Burla
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