Roma, 14 gen – Cesare Battisti, arrestato ieri in Bolivia dopo 37 anni di latitanza, si «sentiva al sicuro per via delle sue conoscenze», come riferiscono gli uomini della polizia di Milano che erano sulle sue tracce con l’Interpol, e per questo motivo si sarebbe preso troppi “rischi” con telefonini, accesso all’e-mail e ai social. Che lo hanno tradito. Fonti dell’Intelligence spiegano che «da giorni gli 007 avevano individuato il rifugio di Battisti in Bolivia». Poi, «nelle ultime ore è arrivata la svolta che ha consentito la cattura». «A incastrarlo sono state le indagini tecniche. D’altra parte, non lo abbiamo mai mollato. Lo tenevamo sotto controllo da sempre, lui e il suo entourage».
A nulla è valso quindi cambiare telefonini in continuazione, perché il suo network di protezione e fiancheggiamento – formata da pochi e fidati personaggi della sua area politica di riferimento -, rimaneva “fisso” e veniva sottoposto a un monitoraggio costante. Quando hanno creduto di aver individuato l’ex terrorista, gli 007 hanno cominciato a tenerlo sotto controllo compiendo una serie di controlli (comparazioni di immagini, confronti fotografici, osservazioni dirette) per identificarlo con certezza.
Battisti si sarebbe quindi collegato a Facebook agganciandosi alle reti wi-fi disponibili per comunicare con amici e parenti durante il periodo di fuga. Le indagini vertevano proprio sul controllo di 15 tra cellulari, tablet e pc intestati a vari prestanome o riconducibili all’entourage di Battisti, e da lui usati per connettersi costantemente. Questo rifiuto di tenere un “basso profilo” è costato molto caro all’ex terrorista perché dai 15 dispositivi sono stati scremati tre telefoni usati personalmente dal leader dei Pac. Il team di poliziotti di Criminalpol, Antiterrorismo e Digos Milano in collaborazione con l’intelligence italiana, lo ha monitorato strettamente e pedinato fino all’arresto da parte della polizia boliviana.
«È stata un’indagine complessa: hanno collaborato moltissimo la Polizia boliviana che ha dato un contributo fondamentale, l’Interpol, la Polizia di prevenzione e la Digos di Milano. Ci sono accertamenti ancora in corso sulla rete di protezione di cui ha goduto. Sui dettagli non posso al momento sbilanciarmi ma posso dire che da diverso tempo il personale era lì, prima in Brasile e poi in Bolivia, e ha fatto anche attività congiunte. Anche l’Aise ha contribuito alle operazioni della cattura», ha spiegato ancora Lamberto Giannini, direttore centrale della Polizia di prevenzione parlando di fronte al Viminale. L’arrivo dell’ex terrorista all’areoporto di Fiumicino è previsto in tarda mattinata.
Cristina Gauri