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Squid Game: se bisogna attraversare l’inferno per vivere davvero

by Carlomanno Adinolfi
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Squid Game

Il mondo ha improvvisamente scoperto il filone dei survival game nippo-coreani grazie alla serie Netflix Squid Game, diventata un fenomeno sociale dal successo insperato. In realtà, il filone di giochi di sopravvivenza era già noto, cosa che ha fatto sorridere quando si è parlato di «originalità» della serie coreana. Che resta comunque un buon prodotto, sicuramente meno estremo dei suoi antenati nipponici e per questo forse più accessibile al pubblico occidentale; a tratti lento e costantemente permeato da quell’aura di «già visto», ma carico anch’esso di spunti interessanti che, al di qua della Grande Muraglia, è sempre più difficile trovare, a causa dell’annichilimento ideologico realizzato dal politically correct.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di dicembre 2021

Una critica sociale feroce

Dietro la sequela di giochi mortali organizzati per intrattenere un pubblico di depravati – tutti occidentali, a dimostrazione del disprezzo che, anche giustamente, in Corea hanno per noi – vi è una totale sfiducia nell’umanità e nel mondo che sfocia in un completo nichilismo. Nella visione di Squid Game non è l’isola dei giochi mortali ad essere l’inferno, ma il mondo reale. L’isola offre anzi una possibilità per essere tutti uguali, in cui l’uguaglianza è però solo l’inizio: l’avere le stesse possibilità di partenza per poter avere «un’opportunità» che sia solamente frutto delle proprie abilità e non di un contesto malato come quello della società moderna. È solo il punto di partenza, perché poi l’uguaglianza verrà spazzata via dalla lotta per la sopravvivenza, in cui solo i più forti, i più intelligenti e i più fortunati potranno andare avanti.

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Perché vedere Squid Game

E in questa lotta di tutti contro tutti esce il meglio e il peggio di ogni individuo, che fuori dalle convenzioni sociali può esprimere ogni suo lato più oscuro. La contrapposizione tra i due amici d’infanzia che si ritrovano sull’isola è quasi archetipica e rappresenta anche una chiara denuncia contro il mondo del lavoro coreano: da un lato il genio della finanza che ha truffato migliaia di persone e che nei giochi si fa strada con il tradimento anche degli amici più cari, dall’altra l’operaio che ha vissuto gli scontri sindacali e assistito alla morte dei colleghi che cerca di aiutare anche i più deboli (ovviamente solo quelli con cui ha legato: non c’è spazio per la fratellanza universale e l’empatia globale). E nel percorso di crescita di Gi-hun, l’operaio che da disoccupato indebitato e sconfitto si trasforma piano piano in personaggio dai tratti (anti)eroici, sta tutto il senso della serie: è necessario…

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