Roma, 7 nov – Uccidete James Bond. No, non è l’ordine dato da Ernst Stavro Blofeld, il genio malvagio a capo della Spectre, ai suoi fantasiosi e sempre crudeli sgherri. Magari. È invece l’ordine perentorio impartito da chi ha gestito gli ultimi film della spia letteraria e cinematografica più famosa di sempre. No Time to Die è l’assassinio perfetto. Quasi un’esecuzione, verrebbe da dire.
Anche James Bond vittima della lotta al “patriarcato”
Perché si sa, James Bond è malvagio. È uno stupratore, come ha candidamente ammesso Cary Fukunaga, il regista del film. L’emblema del maschio bianco eterosessuale, sessista, il fabbro del potere del patriarcato eccetera. E come tale, va ucciso. E quale miglior esecuzione se non rovesciare e sovvertire tutto ciò che è stato? Dimenticatevi il Bond donnaiolo a cui nessuna donna può resistere e che solo con uno sguardo provoca orgasmi e mollezza nelle gambe femminili. Non sia mai, anzi in una scena viene perfino rifiutato dalla Bond Girl Ana de Armas perché si sa, il corpo è mio e lo gestisco io, no vuol dire no, se ci provi è una molestia e così via. Dimenticatevi il Bond al servizio di Sua Maestà, perché qua lo vediamo collaborare addirittura con la Cia contro l’Inghilterra e più volte fa capire che le nazioni non contano nulla di fronte al “mondo”.
Ok, però abbiamo il Bond che mette la famiglia davanti a tutto, quella famiglia tanto vituperata e combattuta dal mondo moderno… e invece no, perché non esiste nessuna famiglia se non in una battutina verso la fine del film. Anzi, 007 è colui che abbandona la donna che, lei sì forte, mica come il maschio Bond, è costretta a crescere una figlia da sola (sì avete capito bene, Bond ha una figlia) in un mondo dominato dagli uomini. E per questo Bond dovrà pagare il fio e non avere un lieto fine. E poi abbiamo un Q improvvisamente gay che da nerd si trasforma in un dandy dai tratti isterici (tanto perché non bisogna avere cliché, giusto?).
Ah sì: il nuovo 007 al posto di James Bond, che alla fine di Spectre si era ritirato, è una donna. Nera. Tra l’altro interpretata da una Lashana Lynch inadeguata, goffa, fondamentalmente inutile come personaggio se non per giustificare battute scontate e per il passaggio di testimone. Tanto più marcato dal fatto che è ingiustificabile come “quota nera”, dato che c’erano già la bravissima Naomie Harris nel ruolo di Moneypenny, che sempre per evitare i cliché si limita a fare la segretaria in secondo piano, e il sempre più convincente Jeffrey Wright nel ruolo di Felix Leiter, che però ha in tutto due scene, di cui l’ultima assolutamente forzata e che non sortisce affatto l’effetto sperato. Anzi. E quindi è normale mettere sullo sfondo i bravi attori e i personaggi iconici per dare spazio alle nullità che portano con sé tutto l’apparato e la simbologia ideologici del caso. Amen.
James Bond e la psicoanalisi che divora i produttori
Il problema di fondo di questo nuovo filone Craig forse è stato essenzialmente psicanalitico. Perché la voglia di “rompere con il passato” e “cambiare” alla fine ha divorato i produttori, che non si erano neanche accorti di averlo già fatto con Casino Royale e sono diventati vittime della loro stessa ansia.
Perché se Casino Royale è stato l’esempio perfetto di come si rinnova un’icona e un franchise in modo fresco, originale, di come si ripresenta un mito cinematografico di 40 anni, trasportandolo nel mondo moderno rendendolo insieme nuovo ma fedele, No Time to Die è l’esempio perfetto di come si stravolge tutto non sapendo cosa fare ma essendo convinti di essere fichi. Di voler “fare qualcosa di nuovo” che in realtà non solo non è nuovo (No Time to Die è un action movie come se ne vedono mille) ma non ha più nulla a che fare con il franchise. Casino Royale era l’esplosione di gioia di chi ha amato un personaggio e ha voluto dargli nuova vita. No Time to Die invece palesa quel senso di “rompere con il passato”, appunto psicanalitico, fatto da chi con rancore vuole dimenticare un’infanzia difficile e uccidere ciò che vi era legato.
Il rinnovamento c’era stato già con Casino Royale. Quantum of Solace era stato un discreto seguito. Il tarlo era iniziato con Skyfall, in cui si è voluto rinnovare ancora ed è uscito un ibrido né carne né pesce. Qualcosa che era insieme un nuovo punto di inizio e una fine. Si poteva benissimo finire così e lanciare un nuovo Bond. E invece no, si è voluto perseverare ed ecco il disastro. Bisogna fare di più, si deve dar retta ai social justice warriors per cui non è mai sufficiente. Hai fatto 007 meno donnaiolo? Non basta. Lo fai succube delle donne che sono i veri personaggi forti mentre lui è uno stronzo? Non basta. Lo fai donna e nera? Bene, ma la prossima volta fammelo nano e disabile. Un circolo senza fine a cui se dai retta non puoi che affondare definitivamente con il tuo personaggio.
Nemmeno nei romanzi Harmony…
A questo si è unito il disastro creativo di Sam Mendes, regista del penultimo capitolo della saga, Spectre. 40 anni di lotte legali per riprendersi il marchio Spectre, ovvero l’organizzazione criminale più fica della storia del cinema e che mancava nella saga dal 1971, solo per fare un film insulso, in cui viene buttato tutto all’aria, facendo un Blofeld (teoricamente la mente criminale più geniale del mondo, un mix tra Moriarty, Fu Manchu e Lex Luthor) cialtrone, buffonesco e anche lui con il lato psicanalitico (il rancore per il fratello adottivo… ma seriamente?). Il tutto nonostante abbiano scelto per lui uno degli attori migliori in circolazione.
Il tutto, invece di essere migliorato nel capitolo finale, magari con un duello decisivo tra i due super rivali, Spectre e Blofeld diventano ancora più macchiettistici, inutili, marginali. Il super cattivo, per cui era stato scelto un signor attore come Rami Malek, è copia grottesca e malriuscita del Dr No, con una storia che sembra scritta da uno sceneggiatore di romanzi Harmony. E che ovviamente dall’inizio alla fine fa cose senza senso, come risparmiare personaggi chiave senza motivo e che torna per farsi uccidere per il solo fatto che deve morire ed era evidentemente complicato per lo sceneggiatore trovare un modo per farlo inseguire da un Bond in difficoltà. Il suo “muscular villain”? Scordate i vari Odd Job, Nick Nack, Squalo. Qua abbiamo il sosia di Giulio Base di Teste Rasate che per tutto il film corre e prende botte da chiunque.
Anche le donne di Bond Girls finiscono nel tritacarne
Capitolo Bond Girls. Se da un lato Léa Seydoux è perfetta oltre che bellissima, sicuramente tra le migliori Bond Girls di sempre come già era stata Eva Green nei panni di Vesper in Casino Royale, qualcuno un giorno ci dovrà spiegare come può venire in mente di usare così Ana de Armas. Donna di una bellezza disarmante ma soprattutto attrice bravissima, costretta in un cameo neanche fosse una Monica Bellucci qualunque, che giustamente non può parlare per più di 30 secondi perché deve essere ridoppiata anche in italiano, per una scena che sembra uscite da una parodia come Agente Smart o Austin Powers. E tra l’altro con un personaggio senza senso che la fa sembrare anche una pessima attrice perché è oggettivamente scritto coi piedi e impossibile da interpretare senza sembrare ridicoli.
Ridicoli poi gli omaggetti sparsi qua e là, dalla sigla con i pallini colorati che riprende Dr. No alla battuta “abbiamo tutto il tempo del mondo” che fa il verso a On Her Majesty’s Secret Service fino alla scena in galleria che richiama lo sparo nel mirino. Assolutamente bocciata poi la canzone. Debole, insulsa, non solo dimenticabile ma dimenticata dopo neanche 30 secondi. Non si pretende che sia sempre un Goldfinger di Shirley Bassey o un Live and Let Die di Paul McCartney, ma anche recentemente tra Adele, Tina Turner, Shirley Manson e Madonna ci sono state signore sigle. Questa non aveva neanche un ritornello orecchiabile, solo vocina spenta e melensa per tutto il tempo, come del resto si addice alla perenne espressione della cantante Billie Eilish.
Hanno voluto uccidere James Bond, dunque. E ci sono riusciti. E la scritta a fine film “James Bond tornerà ancora” è tutto tranne che un auspicio. Se questa è la strada che hanno percorso per 007, a questo punto è meglio lasciarlo nella tomba e non sperare nella prossima incarnazione, nel prossimo attore, nel prossimo regista eccetera. Molto meglio ricordare e rivedere il vero, unico e inimitabile Bond, James Bond, quel Sean Connery che aveva dato al personaggio quell’aura impareggiabile di sarcasmo, fascino e sana virilità. Tutti quegli aspetti che sono stati il motivo della sentenza capitale per 007.
Carlomanno Adinolfi
3 comments
Per me la saga era conclusa già ai tempi di GoldenEye nel 1995, con le prime manovre di proto Me Too. Questo ultimo film interpretato da un nano butterato, totalmente inespressivo e con la faccia di Putin non ha più nulla a che fare con il personaggio creato da Ian Fleming.
Quoto ogni singola parola. E la cosa mi fa infuriare.
[…] patriarcato e sessismo, è stata, negli ultimi anni, oggetto di un’umiliante riscrittura woke culminata nel terribile No Time To Die dove il nostro 007 viene messo in pensione da una goffa «agenta» donna e nera, […]