Llandudno, 13 lug – La scorsa settimana si è tenuto nel Galles del Nord l’annuale convegno della Royal Astronomical Society dove la professoressa Valentina Zharkova, docente di matematica e ricercatrice in astrofisica presso la Northumbria University, ha presentato uno studio rivoluzionario nel quale afferma che il Sole si sta avviando verso un minimo storico nella sua attività.
L’affermazione, che se confermata rivoluzionerebbe quello che sappiamo della nostra Stella, parte dalla teorizzazione di un nuovo modello dinamico dell’interno del Sole: sino ad ora i cicli dell’attività solare, coi suoi picchi e minimi alternati con un periodo di 10/12 anni, venivano spiegati da un effetto “dinamo” dovuto alla convezione dei fluidi in profondità nella Stella, ma questo semplice meccanismo non bastava per spiegare con sufficiente accuratezza le sue dinamiche. La professoressa Zharkova invece ha notato che aggiungendo una seconda “dinamo” più in superficie il modello si adatta meglio alla realtà delle osservazioni sin’ora condotte.
Sostanzialmente l’attività solare funziona come due motori accoppiati ma leggermente sfasati: così quando queste due dinamo si trovano a lavorare in fase, come per le onde elettromagnetiche, gli effetti dell’attività della Stella, quindi vento solare, macchie, brillamenti, aumentano di più rispetto ai normali cicli di 10/12 anni, mentre quando i due “motori” lavorano sfasati, in opposizione, si hanno i minimi assoluti di questi fenomeni.
“Abbiamo trovato elementi di onde magnetiche che lavorano in coppia, originate in due differenti livelli all’interno del Sole – sostiene la professoressa – entrambi hanno una frequenza approssimata di 11 anni sebbene questa sia leggermente differente e sfasata nel tempo. Combinando entrambe le onde insieme e comparandole ai dati reali degli attuali cicli solari, abbiamo scoperto che le nostre predizioni mostrano un’accuratezza del 97%”.
Il prossimo minimo combinato nell’attività solare secondo questo nuovo modello, ancora in fase di verifica da parte del mondo accademico, è previsto per il 2030-2040 quando le onde saranno totalmente fuori fase e l’attività calerà del 60%.
Questo secondo la professoressa e ricercatrice condurrà ad un nuovo “Minimo di Maunder” , avvenuto tra il 1645 e il 1715 , ovvero al più basso livello di attività solare mai registrato.
Curiosamente durante quegli anni, e riteniamo non sia un caso, ci fu un’eccezionale caduta delle temperature medie della Terra, tanto che gli storici ricordano che si poteva pattinare sul ghiaccio del Tamigi o, come testimoniato anche dall’arte dei pittori fiamminghi, sui canali olandesi: quella che gli scienziati chiamano “Piccola Era Glaciale”.
Andando ancora indietro nel tempo possiamo notare come ci sia stato un progressivo raffreddamento del Pianeta prima del Minimo di Maunder: dopo un periodo eccezionalmente caldo medievale durato dal 900 al 1200, in cui ad esempio gli stessi Vichinghi poterono impiantarsi stabilmente in Groenlandia (nel 980), progressivamente la Terra si raffreddò tanto che l’ultimo vascello vichingo ivi approdato è datato 1406, mentre l’ultima coltivazione di vite in Inghilterra è datata 1469.
Del resto se la chiamarono Greenland, ovvero “terra verde”, doveva essere totalmente sgombra dai ghiacci rispetto a come lo è oggi. Questo raffreddamento ovviamente portò con sé notevoli conseguenze a livello delle attività umane: la produzione di cibo crollò drasticamente, e per un’economia agricola che ancora non conosceva la chimica fu un collasso che portò con sé carestie e aumento dei conflitti tra i popoli. A questo va aggiunta la comparsa di epidemie che sono una delle dirette conseguenze della drastica diminuzione di risorse alimentari disponibili per l’uomo, come la peste del 1630 di manzoniana memoria.
Questo non significa che nel 2040 assisteremo agli stessi scenari del 1640 quando gli inverni erano particolarmente rigidi e lunghi, anche perché le temperature globali registrate dal 1860 sino al 2004 indicano un trend in aumento di 0,2°C sulla media. Tuttavia lo studio della professoressa Zharkova apre la possibilità a nuovi scenari di previsione climatica, considerando che gli attuali modelli non sono sufficienti a dare una lettura definitiva delle previsioni a causa della complessità del sistema preso in esame che comporta lo studio di numerose variabili, spesso tralasciate o non ancora scoperte, oltre all’enorme limite imposto dal fatto che abbiamo cominciato solo di recente a fare accurate e sistematiche rilevazioni scientifiche su quelli che sono i veri termometri del Pianeta, i Poli, dato che la misurazione dello spessore ed estensione dei ghiacci del Polo Nord è cominciata solo nel 1978, ed il fattore tempo è una questione fondamentale per la formulazione di qualsiasi modello di previsione.
Fattore tempo che, lo ricordiamo ancora una volta, quanto più si stacca dalla dimensione umana per arrivare a quella geologica, tanto più riesce ad essere influente nel cambiamento delle previsioni.
Non intendiamo qui voler assolvere l’attività antropica dal riscaldamento globale, dato che, tramite studi su carote di ghiaccio e soprattutto sul carbonato di calcio di grotte e coralli, si è vista l’impronta isotopica caratteristica e unica data dal carbonio di origine fossile, unita alla maggiore concentrazione di anidride carbonica nell’aria attuale rispetto a quella intrappolata nelle microbolle di aria all’interno della calotta glaciale antartica, che grazie al suo enorme spessore, riesce a fornirci preziose, sebbene parziali, informazioni sul clima degli ultimi 820mila anni.
Semmai quello che riteniamo sia ancora da stabilire con esattezza, è quanto sia pesante il contributo dell’uomo al riscaldamento globale: nel dubbio comunque è preferibile adoperarci affinché si prendano in considerazione fonti energetiche, soprattutto per i trasporti, ad emissioni zero di CO2.
Paolo Mauri
Nel 2030 ci sarà una nuova era glaciale?
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