Roma, 27 apr – Dalla Commissione Ue arrivano le nuove proposte per il Patto di stabilità. In teoria un “nuovo” Patto. Con virgolette gigantesche, visto che, nei fatti, di cambiamenti reali non c’è praticamente nulla, se non per rendere ancora più stringente il controllo per chi, per ovvie ragioni d’investimento, non voglia in caso seguire i parametri di Maastricht.
Ue, il “nuovo” Patto di stabilità che è uguale al vecchio
Riformare qualcosa per non riformare nulla. I presunti “tentativi” di cambiamento di Bruxelles somigliano sempre più ai tentativi che i Paesi del fu “socialismo reale” approntavano per cambiare i cosiddetti sistemi di tipo sovietico nel secolo scorso. Per ragioni completamente diverse, sia chiaro: i sistemi economici, ovviamente, non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro. Di comune, però, hanno un aspetto filosofico fondamentale: l’incompatibilità con la realtà e l’assoluta incapacità di modificarsi, per lo meno in modo sostanziale. Dopo trent’anni di risultati tutt’altro che egregi, l’Ue non si rende minimamente conto dei limiti del Patto di stabilità e il poco che cambia lo fa in peggio.
Cosa cambia?
Quasi nulla. Immutati sono i parametri di Maastricht, ovvero le principali regole stringenti del 3% per il deficit e del 60% per il debito. E consoliamoci: poteva andare pure peggio, visto che l’insoddisfazione della Germania per le “nuove” regole si palesa nel ritenerle perfino troppo morbide, come afferma il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner: “Le proposte della Commissione europea non soddisfano ancora le esigenze della Germania. Nessuno deve pensare che la Germania accetti automaticamente le proposte. Accetteremo solo regole che consentano un percorso affidabile verso la riduzione del debito e la stabilità delle finanze pubbliche“.
Questo perché, di fatto, l’unica direzione in cui il “nuovo” Patto mostri effettivamente qualcosa di nuovo è nell’imporre più controlli e sanzioni più veloci: insomma, più cappi al collo. Giudicati evidentemente troppo leggeri da Berlino. Quali? Anzitutto, la semplificazione nell’infliggere sansioni ai Paesi che non seguono i diktat. Infatti, una delle novità è quella di rendere più semplice la procedura per debito, abbassando sì le sanzioni ma rendendola potenzialmente applicabile molto più facilmente. Più stretta anche sul controllo dei conti: la Commissione adesso non emetterà soltanto raccomandazioni sui bilanci ma agirà concretamente sul rispetto dei parametri di spesa. I Paesi membri dovranno presentare rapporti annuali sempre più precisi. Inoltre, al termine del piano della spesa concordato, il rapporto tra debito pubblico e Pil dovrà essere più basso.
La delusione dell’Italia e lo scetticismo francese
Se Berlino si innervosisce perché la “nuova” Bruxelles non sarà abbastanza severa, l’Italia si lamenta per l’esatto opposto: l’assenza totale di inversioni di tendenza. Nella fattispecie, inversioni di tendenza almeno alla voce degli investimenti strategici, su cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti puntava. Per dirla in modi semplici: lasciateci fuori dai conti stringenti almeno qualche soldo da investire in ambiti più settoriali e decisivi. Niente da fare. “Noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”, ha detto il ministro. Anche la Francia non guarda con favore agli automatismi di riduzione del debito e ai controlli più stringenti che il nuovo Patto lancerebbe. La stessa Francia che – non a caso – è il Paese Ue che più ha violato Maastricht negli ultimi vent’anni. Insomma, chi può giocarsi la carta del debito lo fa e si lamenta della poca severità, chi in teoria non potrebbe farlo parla dell’opposto. Questa da sempre è l’Ue, questo è da sempre il Patto di stabilità.
Stelio Fergola
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