Carrara, 9 nov – Fu così che anche i miti carrarini, discendenti dai duri lavoratori del marmo o tuttora tali, alla fine s’incazzarono. Abituati a essere sudditi, certo condiscendenti, di amministrazioni monocolori a tinte rosse da tempo immemore, a una sperequazione della ricchezza degna di una provincia sudamericana d’altri tempi, a una cura penosa anzi incuria palese del bene pubblico, alla fine hanno ceduto di fronte allo schiaffo di un argine sbriciolatosi due volte negli ultimi tre anni, dopo essere stato rifatto nel troppo vicino 2009. Rifatto probabilmente male, molto male, stando a quello che emergerebbe dall’inchiesta, in corso, della Procura apuana.
Così accadde che tre giorni dopo la nuova disastrosa alluvione del 5 novembre – 5000 alluvionati nella sola Marina di Carrara, danni incalcolabili – la manifestazione indetta per le 11 di sabato 8 novembre si è trasformata rapidamente in assalto al Comune con tanto di cariche delle forze dell’ordine, per fortuna contenute, e occupazione continuata della sede municipale con una sola richiesta: dimissioni subito, del sindaco Angelo Zubbani e dell’intera giunta.
È stata infatti la dichiarazione gridata al megafono del primo cittadino del capoluogo apuano, che ha escluso ogni sua responsabilità scaricandola su una provincia nel frattempo… decaduta e sostituita dall’ormai consueto organismo ibrido eletto dagli eletti – come dire, dare la colpa al defunto – a scatenare la rabbia della popolazione convenuta (molti video qui).
C’è un’inchiesta in corso, magari più di una, vedremo come andrà a finire, ricordando che la responsabilità è sempre individuale; fatto sta, come si dice, che in ogni casa c’è un odore particolare, caratteristico, e quello di Carrara sa parecchio di fango, sia di fatto che metaforicamente.
Carrara chiama Italia: la risposta non può essere quella proposta dal governo, per mezzo del ministro dell’economia Padoan, che propone all’Europa un migliaio di progetti per altrettante nuove opere e per un valore complessivo superiore a 10 miliardi di Euro, o dal primo ministro Renzi, esaltato dal taglio di un nastro per un’opera – la variante di valico tra Bologna e Firenze – che sarebbe stata grandiosa 20 o 30 anni fa ma oggi, con il 40% di traffico in meno rispetto a soli 10 anni fa…
Sarebbe piuttosto una risposta seria, probabilmente l’unica, la sterzata, anche contro e in violazione di qualche astrusa norma europea, verso gli investimenti a guida e controllo strettamente statali sulla manutenzione del territorio, reso per oltre l’80% a livello nazionale vulnerabile agli eventi idro-geologici dalla urbanizzazione storicamente selvaggia, mentre il rischio avanza inesorabile col cambiamento climatico definitivamente certificato dalle decine di migliaia di scienziati che hanno redatto l’ultimo rapporto dell’ONU, presentato pochi giorni fa (qui, qui, ancora qui).
Come andiamo ripetendo da giorni nel nuovo servizio “Meteo Nazionale” attivato in questo giornale, sono state – e purtroppo potranno esserlo anche nei prossimi giorni – le temperature anormalmente troppo elevate (cui dovremo abituarci) del Mediterraneo centrale e occidentale a trasformare perturbazioni altrimenti ordinarie in vere e proprie minacce pronte a distruggere un territorio fragile ed esposto; sono infatti sufficienti 3 gradi in più alla superficie del mare per raddoppiare o perfino triplicare la quantità di pioggia che cade in un determinato evento, come ampiamente dimostrato da innumerevoli studi (anche di chi scrive) condotti negli ultimi 20 anni. E per fortuna che in Toscana esiste l’eccellenza del Consorzio LaMMA – servizio meteorologico regionale a prevedere tempestivamente anche i fenomeni fino nei minimi dettagli, così evitando spesso tragedie peggiori, a differenza di molte altre regioni, soprattutto al centro-sud (e anche in questo, quanto si sente l’assenza dello Stato).
Una miscela micidiale: aumento della vulnerabilità, per gli insediamenti residenziali, commerciali, industriali, infrastrutturali, e aumento del rischio, di origine climatica. Con una radice comune: il liberalismo delle vacche grasse, del petrolio a 10 dollari al barile, all’origine della spirale finanziaria e del debito cresciuto a un livello tale da rendersi inesigibile e che tuttavia chiama disperatamente una crescita ormai impossibile con la fine delle risorse energetiche a buon mercato. Un po’ come indebitarsi da giovani sperando di potersi ammazzare di lavoro da vecchi per restituire il dovuto con gli interessi maturati in decine di anni. Parafrasando il grande Ezra Pound (“un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai”), diremmo che un popolo che non s’indebita non aumenta la propria vulnerabilità, così come un mondo che non si fosse indebitato avrebbe vissuto responsabilmente in equilibrio con le risorse e non avrebbe creato un rischio di questa gigantesca portata.
Francesco Meneguzzo