Roma, 27 feb – Nonostante vogliano fare di tutto per distruggerlo e svenderlo a prezzi di saldo, il Made in Italy è vivo e lotta insieme a chi ha voglia di capire quanta eccellenza ci sia nel nostro Paese, nel calcio italiano in questo caso, che va assolutamente difeso con un progetto sovranista. Guardate l’attuale classifica della serie A: le prime tre squadre hanno proprietà e allenatori italiani. Sono Napoli, Juventus e Lazio. Un caso? Mica tanto: il segnale di come l’attaccamento al territorio, la conoscenza degli usi e la presenza sul posto della proprietà siano una garanzia per far funzionare al meglio l’Azienda, quindi la squadra. Nonostante gli anni passati senza fare riforme, senza tutelare il Prodotto, fino alla mancata partecipazione ai prossimi mondiali e al doppio commissariamento di Federazione e Lega sino a poco tempo fa.
Dietro alle proprietà italiane arrancano, tra crisi finanziarie, paletti del Financiary Fair Play dell’Uefa e gestione approssimative, altri club con presunte super proprietà straniere: i cinesi dell’Inter e gli americani della Roma. In ripresa il Milan cinese dalla proprietà chiacchierata. Proprietà lontane migliaia e migliaia di chilometri, nessuna priorità esclusiva all’asset calcio che finisce tra mille altri interessi da curare e da far marciare, usando le squadre soltanto come veicolo speculativo per operazioni immobiliari (quella di Pallotta a Roma con lo stadio e le strutture annesse) o per far conoscere il brand in Europa e rafforzare lo stesso nel proprio Paese (come l’Inter per Suning).
Davanti a loro ci sono Napoli, Juventus e Lazio.
Preso in serie C da De Laurentiis, il club campano è arrivato stabilmente al vertice del calcio italiano facendosi degnamente conoscere in Europa: ha un bilancio in attivo e una filosofia ben precisa fatta di investimenti su giovani calciatori (pochi italiani purtroppo) e la cessione di quelli che esplodono (Lavezzi, Cavani, Higuain) con il controllo dei diritti di immagine in toto alla società. De Laurentiis è un padre-padrone presentissimo nelle scelte del club, chi lavora per lui sente il fiato sul collo e non può sgarrare. Negli anni, il Napoli è diventata la prima fonte di reddito della famiglia del produttore cinematografico che ha decisamente meno ricavi con la Filmauro, la sua società di produzione cinematografica. Critica da fare a De Laurentiis: pochi o nulli gli investimenti su stadio, strutture e settore giovanile.
Altro modello, di super efficienza e programmazione, di spietatezza e di lungimiranza è la Juventus, proprietà di Famiglia da sempre. Un fatturato che negli anni si è avvicinato ai migliori club europei, complici risultati e organizzazione.
A metà strada c’è la Lazio di Lotito: la sua è una presenza assidua, asfissiante ed estremamente attenta ai conti. Negli anni, con l’aiuto di qualche norma dello Stato che lo ha aiutato, il risanamento del catastrofico bilancio lasciato dalla gestione Cragnotti e la costruzione di una squadra in crescita lenta ma costante. La Lazio ha preso il sopravvento sulle altre attività imprenditoriali di Lotito e gli ha consentito di gestire un grande potere (dannoso per i risultati) nel Palazzo. L’utilizzo di collaboratori in perfetta sintonia come Tare e Peruzzi sono il valore aggiunto.
Al sesto posto, per ora pari al Milan c’è anche la Sampdoria: proprietà italiana (presidente Ferrero) e un bilancio in crescita con la scoperta di giovani poi valorizzati al massimo in estate come Schick e Skriniar. Gli allenatori delle prime della classe (Sarri, Allegri e Inzaghi, con Giampaolo alla Sampdoria) sono italiani. Come gli altri tecnici della serie A, ad eccezione dell’uruguaiano Lopez del Cagliari. Insomma, l’attaccamento al territorio, una presenza quotidiana della proprietà, generalmente attraverso i fidati collaboratori, la conoscenza e la sensibilità sul Paese, sono una garanzia per contribuire alla crescita e ai risultati di una squadra di calcio, anche se adesso è impensabile pensare di trovare quella vecchia generazione oramai estinta di presidenti mecenati alla Moratti o alla Berlsuconi. Ma mai come in questa epoca dove il calcio è diventato terra di conquista per imprenditori spericolati, fondi speculativi e proprietà schermate, con il “tradimento” di certi valori sovranisti, si sente l’esigenza di tutelare il Prodotto Italia sostenendo ed auspicando le proprietà italiane. Per ridurre al minimo il rischio di crac finanziari destinati a restare impuniti. In questa spruzzata di made in Italy mettiamoci anche il capocannoniere del campionato di serie A: l’italiano Ciro Immobile, davanti all’argentino Icardi e al connazionale Quagliarella.
Paolo Bargiggia
Il campionato parla italiano: il flop delle proprietà straniere
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