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Bagnai alla vigilia de “L’Aquila Città del Libro”: “L’Ue ci ostacola perfino nel Mediterraneo”

by Stelio Fergola
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Bagnai L'Aquila

Roma, 18 lug –  Alberto Bagnai sarà ospite a L’Aquila Città del Libro e il tema che si affronterà nella conferenza cui parteciperà non è certamente di secondo piano: l’Italia, una sua visione futura, ma soprattutto le sfide dell’economia che il Paese (non) affronta da decenni. Il parlamentare della Lega ha scambiato quattro chiacchiere con noi alla vigilia del festival.

“Come l’Ue ci ostacola, perfino nel Mediterraneo”: l’intervista a Bagnai

Bagnai, la prima domanda è naturalmente rivolta al contenuto della sua conferenza a L’Aquila, insieme al collega Filippo Burla, da anni specializzato in materie economiche. Come si può “tornare potenza”?

«Il tema di come riacquistare ambiti di incisività e autonomia strategica è estremamente stimolante e attuale. Il ragionamento che chiamo “del grande pennello”, secondo cui noi “dobbiamo essere grandi”, unendoci ad altri Paesi molto diversi da noi (come abbiamo fatto in Europa) perché “gli altri sono grandi”, perché “oggi c’è la Cina”, ha diversi livelli di fallacia. Oggi è più semplice farlo capire, perché il Covid ha reso evidente il problema dell’inerzia decisionale dell’enorme burocrazia europea di fronte alle sfide della globalizzazione, che non sono tanto “grandi” quanto soprattutto “veloci” ».

A proposito della difficoltà europea di affrontare le realtà serie che ci sono a livello economico, la successiva domanda non può che essere sulla politica della Bce sui tassi e sul tema dell’inflazione.

«La politica della Bce per certi versi è condizionata dalla necessità di dover rincorrere la politica monetaria – e quindi il livello dei tassi – degli Stati Uniti – per evitare una svalutazione dell’Euro. Se una critica può essere fatta alla Bce non è tanto quella di aver alzato i tassi, perché oggettivamente nelle condizioni date non c’era moltissimo che potesse fare. Eventualmente si può ragionare sui tempi e sui modi di questo innalzamento: soprattutto i primi sono stati un po’ tardivi rispetto al manifestarsi del fenomeno e questo verosimilmente ha determinato una sovrareazione. La nostra attenzione dovrebbe invece concentrarsi su quanto sarà effettivamente persistente l’inflazione e quanto le politiche cosiddette “verdi” di matrice europea contribuiranno a renderla persistente, perché sappiamo che sono politiche che fanno affidamento su materie prime rare e costose. Le soluzioni proposte al problema ambientale in Europa ci impongono di ricorrere a processi industriali molto inquinanti. Si ripropone qui il principale problema che si incontra nelle sedi europee: lo “scarto” tra gli intenti dichiarati e la realtà dei fatti».

A proposito di questo “scarto”: lei che opinione ha maturato sulla questione del “price cap” al gas tanto pomposamente vantato dalle sedi Ue, considerando anche che questo è su un livello – 180 euro al megawattora – decisamente più elevato di tutte le quotazioni dall’autunno ad oggi (passate dai 60 euro agli attuali 28 circa). Il che dà una dimensione del livello di “intervento protettivo” abbastanza ridicolo sul tema…

«La cosa più importante da sottolineare è che il price cap era una sciocchezza enorme, e che pochi hanno avuto il coraggio di dirlo qui in Italia. La stessa idea che l’Europa fosse così grande da determinare un mercato del compratore era la pia illusione di persone più ideologizzate che lucide. Non eravamo nelle condizioni di dettare all’unico fornitore (per lo meno nella struttura che si è creata nel tempo, perché poi è chiaro che le alternative ci fossero), ovvero la Russia, il prezzo cui acquistare. Era un abbaglio ideologico, dettato dalla necessità di dimostrare che l’Europa “siccome è grande può imporre le proprie condizioni”. Il mondo è più complicato di come lo immaginano le persone ideologizzate».

Una valutazione economica sul Piano Mattei da parre di Bagnai?

«Premesso che un documento condiviso esiste da pochi giorni, per cui darne una valutazione dettagliata è prematuro, l’idea che sembra prevalere, quella di rendere l’Italia l’hub strategico per l’Europa in ambito energetico, è senz’altro condivisibile. La Germania negli anni passati ha voluto recitare questo ruolo, affidandosi a due gasdotti (i North Stream) che sono finiti come abbiamo visto, e ostacolando invece progetti come l’Eastmed, che avrebbe consentito all’Italia di connettersi con i giacimenti situati fra Cipro e Medio Oriente. Abbiamo commesso un errore – o meglio, lo ha commesso l’Europa – nel concentrare gli approvvigionamenti sulle forniture russe. La Russia può piacere o non piacere, ma che fosse una realtà “critica” dal punto di vista geopolitico non credo fosse del tutto ignoto. Il Piano Mattei in questo senso offre una prospettiva diversa. Anche per i rapporti con il continente africano che negli scorsi decenni – questa è la sensazione quanto meno – sono stati piuttosto trascurati. Un aspetto sottaciuto è che la fame di materie prime determinata dalle politiche green porta a uno sfruttamento di tipo neocoloniale e predatorio delle risorse minerarie africane che non è nel nostro interesse nazionale, perché ostacola il processo di sviluppo economico e sociale di quei Paesi, un processo che invece andrebbe sostenuto anche per contrastare alla radice problemi come l’immigrazione clandestina».

Parlando con Gian Micalessin qualche giorno fa, il giornalista aveva così commentato su una domanda simile: “L’ambizione è sacrosanta ma dobbiamo fare i conti con 30 anni di abbandono assoluto del Mediterraneo”

«È un pensiero ovvio e condivisibile. Un politico, però, deve darsi degli obiettivi ambiziosi. Sicuramente Micalessin non voleva dire che se siamo stati fermi trent’anni dobbiamo restarlo per altri trent’anni. Però il punto è sempre lo stesso: l’Europa, su queste questioni ci aiuta? La risposta è un deciso “no”, sostenuto dai fatti: oltre alla decisione di non investire in infrastrutture che ci connettessero al Mediterraneo, ricordiamo quella di intervenire militarmente in zone in cui l’Italia era presente con proprie aziende».

Un’ultima domanda semplice e schietta, nonostante la “complessità” della realtà: cosa dovrebbe iniziare a fare l’Italia per avviare una politica industriale seria dopo decenni di nulla?

«Le strade. La prima cosa che mi viene in mente è questa. Io vengo da un collegio dove la prima problematica che devono affrontare i distretti industriali è quella dell’interconnessione alla rete infrastrutturale tradizionale. Oltre a questo, una vera banda larga. La riqualificazione delle piccole opere infrastrutturali sarebbe un inizio di politica industriale, dopo di che le grandi opere sono fondamentali. Per il Meridione, penso che il Ponte sullo Stretto possa essere un buon volano, soprattutto se saremo in grado di gestire gli indotti che procurerà».

Stelio Fergola

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1 commento

fc 26 Luglio 2023 - 8:17

Il mondo sarà pure complicato ma la ns. terra non può e non deve diventare un laboratorio in pianta stabile pieno di cavie viventi, ovvero morti viventi ! Se qualcun altro lo vuole fare, padronissimo di farlo a casa sua ma senza rompere minimamente le balle altrui… quindi…

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