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L’alba dei giovani ungheresi: la bestia dell’Est e le colpe dell’Ovest

by La Redazione
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stlain-ungheriaRoma, 23 ott – Non avevo ancora tre anni e non possedevamo la televisione, non ho potuto quindi serbare un ricordo diretto della leggendaria rivoluzione ungherese. Teodoro Buontempo, futuro dirigente della gioventù del Msi, di otto anni più grande di me, raccontò che ancor bambino seguì trepidante quelle gesta alla radio e che fu proprio in onore di quel popolo insorto che s’iscrisse alla Giovane Italia. Io non ebbi modo di rendermi conto subito di quello che stava succedendo, che, senza enfatizzare, cambiò il corso della storia.

I popoli in lotta sotto il tallone dei soviet

Già tre anni prima, a Berlino est, gli studenti si erano ribellati al regime comunista, alla polizia politica e alle truppe di occupazione russe. In Polonia e in Cecoslovacchia la fronda all’imperialismo moscovita e alla sbirraglia bolscevica si manifestava all’interno del mondo operaio e intellettuale, e avrebbe finito con il pagare un forte tributo nel 1970 e nel 1968. Ignorate da tutti, a causa della cappa della “Cortina di ferro”, come veniva chiamata la demarcazione tra mondo occidentale e pianeta sovietizzato, ma anche per la palese complicità americana con il Cremlino, erano state sconfitte da poco le guerriglie popolari in Romania, in Ucraìna e nei Paesi Baltici. Il Muro “antifascista” che doveva separare le due Berlino non era stato ancora eretto e i cittadini “democratici” che da est fuggivano a ovest erano in numero impressionante. Come impressionante fu il numero di vittime, abbattute durante l’esodo, perché “spie del fascismo”.

Il socialismo reale, come lo chiamavano allora, era un grande campo di concentramento, un’immensa prigione, un gigantesco asilo psichiatrico, dominato da boia e carnefici che avevano realizzato la fusione atomica tra la freddezza inumana della burocrazia, l’impersonalità robotica di un’ideologia genocida, la pretesa di trasformarsi in dèi per cambiare il gene, la testa e la psiche dell’intera umanità, l’impunità nell’esercizio di ogni sopruso, fino alla tortura e all’eccidio: il tutto all’insegna del servilismo nei riguardi di Mosca. Più tardi avrebbero definito tutto questo come devianze staliniste ma Stalin era già bell’e morto e quelle pratiche, che poi continuarono indisturbate, lo avevano preceduto tranquillamente.

L’eroismo ungherese tra oppressione ad est e viltà a ovest

La rivoluzione magiara ebbe un’importanza decisiva, non solo psicologica, rituale. Furono gli studenti di Budapest, così com’erano stati gli studenti di Berlino, a iniziare la rivolta il 23 ottobre di sessant’anni fa. Tutta la città li seguì. Il regime crollò, la polizia politica venne annientata, le truppe russe di stanza in Ungheria furono sconfitte: il 28 ottobre, data fausta, boia e occupanti capitolarono. Da Mosca venne poi decisa l’invasione con mezzi corazzati. La rivoluzione venne schiacciata sotto i cingoli il 4 novembre. Gli eroici ungheresi lasciarono sul campo oltre duemilacinquecento uomini liberi. I soldati russi ebbero 720 morti e 1540 feriti ai quali si aggiungono gli ausiliari ungheresi traditori. Quel popolo, la cui tradizione storica è ricchissima di eroiche resistenze contro le orde dell’est, vendette cara la pelle. Poi iniziarono le esecuzioni.

Budapest però in quei giorni dimostrò a tutti che il comunismo non era né popolare né invincibile. Ad Ovest prevalse la cautela, Yalta lo imponeva. Quindi intervenne la borghesia a salvare il comunismo, addirittura importandolo tra le nostre mura. Gli archivi del servizio segreto tedesco comunista, la Stasi, hanno rivelato come proprio quel servizio all’indomani dell’ottobrata magiara si mise alacremente al lavoro, per ben dieci anni, per creare la “contestazione” che orchestrò scientificamente a Berlino Ovest nel 1967 quando riuscì a portare i rampolli idioti della borghesia a manifestare “contro il regime di polizia” – intendendo per tale quello occidentale – sotto gli occhi divertiti dei poliziotti comunisti che li osservavano dall’alto di quel Muro sul quale vigilavano armati per assassinare tutti quelli che intendevano varcarlo per fuggire a ovest. Quell’infezione, quell’epidemia di meningite, che ebbe tra le altre conseguenze quella di colpevolizzare il popolo tedesco, s’impadronì delle borghesie occidentali con l’ausilio organico della Cia e del Mossad. Fu questa demenza diffusa che consentì al pianeta carcerario comunista di resistere un ventennio in più. D’altronde quel sistema fatto di burocrati, aguzzini, carcerieri e canaglie, tramite Mosca, dipendeva direttamente da Wall Street che gli lanciò subito una ciambella di salvataggio.

Franz sarà pure il mio nome

Nel ventennale della caduta del Muro di Berlino ho riportato il testo della canzone di Bennato “Franz è il mio nome e vendo la libertà”. Per rammentare che da noi è in gran misura illusione e che le due parti di quel sistema si tenevano reciprocamente al punto che oggi, in ognuna delle componenti che ne sono scaturite (Usa, Russia, Inghilterra, Ue) le ideologie si sono mischiate realizzando un Moloch sulle cui singole sfumature è consentito disquisire solo se non si ha niente di meglio da fare. Nei tempi in cui andava ancora di moda l’inganno della “guerra fredda”, un inganno che ora ci ripropongono imperterriti, ho contribuito non poco a sottolineare l’unità intrinseca dei due presunti opposti e a definire la gerarchia di responsabilità che condannava in primis New York.

Questo però non c’entra con le disinvolte riletture che si trovano in giro secondo le quali, addirittura, il comunismo sarebbe stato preferibile al sistema occidentale. Tale sciocchezza non è che la riedizione tardiva della meningite sessantottina che abbiamo visto così emblematica nella contestazione di Berlino nel 1967. Milioni di persone sono scappate da quei campi di prigionia, cifre letteralmente incommensurabili sono morte: tutte andavano verso una direzione, non accadde mai l’inverso. Il comunismo, reso reale in Russia, il comunismo, figlio e madre della Finanza cosmopolita newyorchese, era insopportabile. Ebbe un solo pregio: di essere così terribile dal sospingere uomini e popoli all’eroismo, al sacrificio, pur di combatterlo.

Perché la rivoluzione ungherese in realtà ha vinto

L’Ungheria combatté unita e combatté sola. Venne abbandonata da tutti, nessuno la sostenne davvero. Nella viltà occidentale emersero chiare la complicità americana e la debolezza democratica e si capì che soltanto le rivoluzioni nazionali potevano dare anima e corpo a un’Europa da costruire al contempo come baluardo a est e a ovest e come centro vitale della Civiltà. Proprio da Budapest si alzò imperioso un grido che accomunò tutti i migliori: “Europa nazione, rivoluzione!”

Nazione delle Patrie beninteso, loro esaltazione e sublimazione e non loro negazione. L’Ungheria, pur perdendo materialmente, vinse nel sacrificio e nel sangue. Senza di che, molto probabilmente, il mostro sovietico si sarebbe allargato oltre Cortina. Vinse perché generò gli anticorpi che le permettono oggi di reagire alle imposizioni dell’Onu e di Bruxelles sull’immigrazione. Vinse perché, sia pure in modo incruento, fu nella stessa maniera che, cinquant’anni più tardi, il popolo si liberò dei nuovi burocrati e si riprese la sovranità.

L’Ungheria vinse davvero. Vinse perché fece inceppare gli ingranaggi della sbirraglia comunista e del sistema sovietico, vinse perché affermò la sua dignità e non abbassò la testa, saldando il suo popolo come non mai e rendendolo orgoglioso di essere come si nota negli sguardi fieri e sorridenti della sua gioventù che ancor oggi canta le gesta dei padri. Ora tocca a noi, a noi che siamo figli delle avanguardie il cui cuore batté all’unisono con gli eroi di Budapest, il cui cervello ragionò con loro, il cui immaginario fu identico a quello di quegli impavidi, ora tocca a noi recuperare tutto e non gettarlo alle ortiche riesumando, riviste e corrette, le suggestioni meningitiche di quelli che, qui, funsero da zavorra pseudo-intellettuale da salotto, da utili idioti dell’oppressore. Tocca a noi essere fedeli allo spirito della rivoluzione ungherese ed esaltarne l’esempio. Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest, proveremo a seguirvi e a non doverci più vergognare di noi!

Gabriele Adinolfi

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5 comments

giovanni damiano 23 Ottobre 2016 - 10:46

Riscoprire l’anticomunismo che fu per polemizzare con la Russia di oggi mi sembra esercizio completamente antistorico.

Così come mi sembra completamente antistorico confondere il sistema della guerra fredda con l’attuale situazione internazionale.

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Matteo Rovatti 23 Ottobre 2016 - 12:42

Interessante un elogio di una rivolta nazionale patriottica da parte di chi condanna come un cancro ogni forma di sovranismo e sostiene attivamente l’Ue.
Ovviamente, “Non questa UE”, sia ben chiaro.

Damiano ha perfettamente ragione, e forse si dimostra come suo solito troppo tenero.

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Luca 23 Ottobre 2016 - 11:24

Grande Adinolfi

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Anonimo 24 Ottobre 2016 - 8:01

ottimo l’articolo di Adinolfi e trovo che anche paragonare la rivolta d’Ungheria del 56 con il presunto sovranismo alla Salvini o alla Le Pen ( Marine ) sia un filo antistorico.
Poi per polemizzare va bene tutto per carità.
Andre

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Nessuno 25 Ottobre 2016 - 1:22

Non per puntualizzare, nè per contraddire il “sommo” Adinolfi. Ma credo sia giusto ricordare, per chi ha davvero approfondito storicamente l’evento in questione, che i “Ragazzi di Buda ed i Ragazzi di Pest”, in realtà si sollevarono contro il regime totalitario sovietico, non certo per instaurare una altrettanto odiosa tirannide fascista, bensì, semplicemente, per la democrazia nel loro Paese.

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