Roma, 4 apr – L’hanno definita “la più grande fuga di notizie di sempre”: 11,5 milioni di documenti, un materiale 1500 volte più grande del numero di file desecretati dallo scandalo Wikileaks. Si tratta dei cosiddetti “Panama Papers”, i documenti sui traffici offshore dei grandi del mondo che un’anonima talpa dello studio legale Mossack Fonseca, con sede a Panama, ha trafugato e diffuso all’Icij, l’International consortium of investigative journalists, network transnazionale di giornalisti liberal (in Italia fanno capo al gruppo L’Espresso).
I numeri dell’inchiesta sono colossali: si parla di 215mila società coinvolte, clienti provenienti da 204 paesi, 511 banche implicate, 150 politici o capi di stato coinvolti. I nomi usciti fino ad ora sono quelli di Putin, Cameron, Poroshenko, Messi, Jackie Chan, Platini, Assad e Gheddafi, vari membri delle famiglie reali di Marocco e Arabia Saudita, il presidente dell’Argentina Mauricio Macri e altri. Per l’Italia presenti nei faldoni dell’inchiesta giornalistica almeno 800 persone: il nome più noto è quello di Luca Cordero di Montezemolo. I vari vip tirati in ballo stanno prendendo le distanze uno a uno. Data la mole di documenti, è per il momento impossibile orientarsi e capire se le operazioni incriminate siano legali o meno.
È probabilmente prematuro anche cercare di capire se l’inchiesta sia una genuina operazione giornalistica oppure un attacco a determinati assetti di potere. I politici tirati in ballo sembrerebbero piuttosto trasversali ai “partiti geopolitici” in campo, anche se per il momento stupisce l’assenza di grandi nomi statunitensi. L’Icij non sembra del resto un’organizzazione poi così innocente, o quanto meno sembra decisamente caratterizzata da un approccio politico-ideologico ben caratterizzato. Nato come progetto di una ong chiamata, con spirito giacobino, The Center for Public Integrity, oltre ad avere tra i suoi sponsor l’Open Society di Soros, costituisce di fatto un network che raggruppa tutti i principali giornali di “sinistra riformista” del mondo (Le Monde, El Pais, The Washington Post etc). Insomma, la puzza di bruciato c’è. Vedremo nei prossimi giorni quanti fuochi ci saranno.