Roma, 17 ott – Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa sono di parte? Certo che sì, sono della parte che ha vinto le elezioni, dunque chiamata a scegliere i presidenti della Camera e del Senato. Piaccia o non piaccia, non ci sarebbe altro da dire, commentare, sbraitare. Invece ci ritroviamo il piagnisteo della sinistra, classico atteggiamento di chi non accetta la sconfitta e pretende di dettare la linea al governo anche se bocciata dai cittadini. Di qui l’agitazione massima, cianciando di presidenti delle Camere “divisivi”, spulciando detti e non detti del passato che vestirebbero di nerissimo Fontana e La Russa.
Ma è un furore scomposto che durerà poco, più o meno fino alla scelta dei ministri. Allora tutti dimenticheranno la guida delle Camere e inizieranno a indignarsi per le nomine ai dicasteri. In fondo, almeno in quel caso, si potrà davvero aprire un dibattito serio sulle intenzioni dell’esecutivo in fieri. Perché sono i ministri a guidare davvero il treno – dunque a imprimere o meno svolte politiche – non i presidenti delle Camere, che al massimo dettano i tempi della discussione in Aula.
Fontana e La Russa di parte, giusto così. Ora finitela con le bischerate
La sinistra lo sa benissimo, esattamente come ne sono consapevoli i media che negli ultimi giorni hanno alzato uno stucchevole, quanto fugace, polverone. Gli stessi media che non ebbero alcunché da dire quando la presidenza della Camera venne assegnata a Nilde Iotti, a Fausto Bertinotti, a Laura Boldrini, a Roberto Fico. Tutte personalità di per sé “divisive”, semplicemente perché “di parte”. C’è poi un altro elemento, chiaro a chiunque osservi la politica: le posizioni più “radicali” di un parlamentare, reali o presunte che siano, non vengono esaltate dalla presidenza di una Camera, vengono semmai disinnescate in automatico.
Nel caso di specie, Fontana e La Russa dovranno necessariamente assumere un atteggiamento puramente istituzionale, senza poter dettare linee su tematiche specifiche. Eventuali dichiarazioni da loro rilasciate, su qualsivoglia questione, non avrebbero comunque alcun peso decisionale. Questo non significa che siano stati scelti appositamente per mettere a tacere le loro posizioni più “scomode” o invise alla sinistra. E neppure che simbolicamente rappresentino una visione ben precisa che il nuovo governo intende far emergere. E’ semmai vero che entrambi sono uomini di fiducia dei rispettivi leader di partito, Lega e FdI, e che dunque sulla carta assicurano un agire coerente. Tutto qua. Palla al vincitore, buona rincorsa al perdente.
Eugenio Palazzini
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