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Recovery plan, ecco la bozza: briciole alla sanità, un fiume di soldi per “green” e parità di genere

by Cristina Gauri
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Roma, 8 dic – Una bozza di Recovery plan che è tutta un programma. La pioggia di miliardi in arrivo dall’Unione europea – principalmente debiti che dovranno essere in seguito ripianati –  si cela dietro gli altisonanti nomi di Quadro finanziario pluriennale e nel Next Generation Eu con i quali si mettono a disposizione dell’Italia un volume di circa 309 miliardi di euro nel periodo 2021-2029. Il governo ha quindi proceduto a redigere il Piano di ripresa e resilienza dell’Italia, finanziato dall’Rrrf europeo, annunciata come «una transizione green, smart and healthy». A mezzo della quale l’Italia potrà, fino al 2026, contare su 65,4 miliardi di euro in sovvenzioni e 127,6 miliardi in prestiti, equivalenti al 6,8% del reddito nazionale lordo, per un totale di 193 miliardi.

Il progetto del Recovery plan si articola in sei macro-aree tematiche

La prima, «digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura» può contare su un totale di 48,7 miliardi, così divisi: 10,1 miliardi per la digitalizzazione e la innovazione della PA, 35.5 per la innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione, i restanti 3 per cultura e turismo. Una cifra vergognosamente bassa quest’ultima, che non tiene conto dei danni subiti dal settore messo in ginocchio dalle restrizioni anti-Covid e relega la cultura a fanalino di coda.

La seconda macro-area è individuata dalla «rivoluzione verde e transizione ecologica» e può contare su 74.3 miliardi di euro complessivi. Saranno divisi in impresa verde ed economia circolare per 6.3 miliardi, transizione energetica e mobilità locale sostenibile per 18.5 miliardi. All’ efficienza energetica e riqualificazione degli edifici andrà la cifra di 40.1 miliardi, a tutela e valorizzazione del territorio e delle risorse idriche vanno 9.4 miliardi.

La terza macro-area concerne le «infrastrutture per una mobilità sostenibile», per una dotazione complessiva di 27.7 miliardi di euro. Saranno destinati principalmente, per 23.6 miliardi di euro, ad alta velocità di rete e manutenzione stradale 4.0. I restanti 4.1 miliardi vanno alla intermodalità e alla logistica integrata.

La quarta macro-area riguarda l’istruzione e la ricerca. A questo capitolo sono assegnati 19.2 miliardi, di cui 10.1 andranno al potenziamento della didattica e diritto allo studio e 9.1 dalla ricerca all’impresa. Anche qui, briciole per uno dei settori profondamente danneggiati dall’emergenza sanitaria.

La quinta macro-area, «parità di genere, coesione sociale e territoriale», consiste in 17.1 miliardi di euro. Di questi, 3.2 vanno alle politiche del lavoro destinate ai giovani, 5.9 per la vulnerabilità sociale, sport e terzo settore, 4.2 per la parità di genere. 3.8 miliardi per interventi speciali per la coesione territoriale. Per la parità di genere nello specifico, quindi, il governo destinerà più fondi che al turismo e alla cultura (3 miliardi).

La sesta macro-area, concernente la salute, conta solo su 9 miliardi di euro. saranno divisi in assistenza di prossimità e telemedicina, per 4.8 miliardi, e 4.2 miliardi per innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria. Meno male, insomma, che «prima la salute».

Bruscolini per la sanità, soldi a pioggia per ambiente e quote rosa

Il primo elemento della bozza del Recovery plan che balza subito all’occhio: a emergenza sanitaria, istruzione e turismo – ovvero dei dei settori più danneggiati dall’emergenza sanitaria e più  bisognosi di iniezioni di fondi – sono riservate le briciole. Appare lampante che detti indirizzi abbiano scarsa logica legata al momento emergenziale per andare ad attingere più che altro ai soliti paradigmi tanto cari all’Unione europea: cifre statosferiche sono previste per green, parità di genere, digitalizzazione, in un Paese che gli indici della stessa Commissione europea relegano da anni a fanalino di coda del digitale europeo. D’altronde i soli 9 miliardi per la Sanità, – per misure che originano da una pandemia e che nella sanità avrebbero dovuto avere il proprio epicentro – a fronte invece del doppio stanziato per le politiche di parità di genere e inclusione sociale – parlano chiaro.

Cristina Gauri

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