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Immigrati africani e emigrati italiani: ecco perché il paragone non regge

by La Redazione
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Figura_1 -Italia -flussi emigrazione

Flussi dell’emigrazione italiana all’estero considerati nell’articolo: verso gli Usa e la Germania

Roma, 20 mag – Il parallelismo fra l’emigrazione italiana di Otto e Novecento e le recenti ondate immigratorie che vedono, al contrario, l’Italia fra i paesi di arrivo e non più fra quelli di partenza è un vero e proprio must della retorica immigrazionista.

Su questo paragone si è incentrata una recente presa di posizione polemica di Gianni Morandi, a cui ha risposto su queste colonne Enrico Ruggeri. Qualche mese fa era stato l’attore militante Elio Germano a tornare sull’argomento, recitando a dei giovani rom una fantomatica descrizione dell’emigrazione italiana fatta dall’ispettorato per l’immigrazione del Congresso statunitense nel 1919. Il senso dell’operazione era ovvio: un tempo gli americani dicevano degli italiani quello che gli italiani dicono oggi dei rom (peccato che quel testo sia con ogni probabilità una bufala).

Della stessa strategia retorica fanno parte anche saggi come L’Orda: quando gli albanesi eravamo noi di Gian Antonio Stella (Rizzoli). In buona sostanza il ragionamento è: dobbiamo accogliere i migranti perché un tempo anche noi fummo migranti e anche noi fummo accolti.

Come questa banalità retorica possa essere ritenuta un argomento inoppugnabile non è dato sapere. Se si esclude l’argomento puramente morale (arbitrario e inafferrabile come ogni argomento morale), il fatto che l’Italia abbia una lunga storia di emigrazione dovrebbe al contrario dimostrare quanto non sia un paese… di immigrazione. Se per ragioni economiche, geografiche, demografiche questa nazione ha sempre dato, significa che non è fatta per ricevere. Non si capisce cosa, in questo ragionamento elementare, non risulti chiaro.

Né è chiaro come i fan delle frontiere spalancate e dei controlli zero possano citare come esempio i flussi verso un Paese come gli Usa, che pur avendo nell’immigrazione la sua stessa ragion d’essere, all’arrivo dei barconi di immigrati attuava a Ellis Island una selezione rigorosissima in cui si valutavano le condizioni fisiche ed economiche dei nuovi arrivati, nonché le loro idee politiche, riservandosi il diritto di rispedire a casa chi non superasse i test.

Ma entriamo nel dettaglio osservando i numeri.

Tra il 1860 e l’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, in poco più di 100 anni dall’Unità d’Italia, sono partiti per altre nazioni d’Europa, d’America e del nord Africa tanti uomini e donne quanti ne contava inizialmente il Regno d’Italia, 23 milioni.

Se inizialmente e in particolare tra il 1876 e il 1900 l’emigrazione interessò prevalentemente le regioni settentrionali – il 47% da Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte – nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.

Possono anche distinguersi due grandi periodi migratori: per oltre 50 anni e fino agli anni ’30, le mete prevalenti si collocavano nelle Americhe, settentrionale e meridionale, mentre dagli anni ’50 e per una ventina d’anni i connazionali emigravano in preferenza verso destinazioni europee.

I flussi verso l’America latina – Argentina, Brasile e Uruguay in testa – furono imponenti e nell’ordine dei molti milioni di persone, tanto che le attuali popolazioni di quei paesi discendono da antenati italiani con percentuali a doppia cifra, e motivate in massima parte dalle amplissime disponibilità di terreni colonizzabili e coltivabili, particolarmente attraenti per un popolo a vocazione ancora prevalentemente agricola. Tanto fortemente motivate, quindi, quanto poco interessanti ai fini di una comparazione con i correnti flussi in ingresso in Italia (dove grandi spazi e terre in cui insediarsi certo non ce ne sono più).

Figura_2 -Emigrazione Italiana in Usa

Flussi migratori Italiani negli Stati Uniti: contesto demografico (alto), territoriale (medio) ed economico (basso)

Molto più interessante è l’analisi retrospettiva dei flussi migratori dall’Italia verso paesi territorialmente già sfruttati e a forte vocazione industriale, per questo si è scelto di considerare le leggendarie emigrazioni verso gli Stati Uniti e quelle numericamente meno imponenti ma sempre molto consistenti verso la Germania.

Le relative analisi si sono basate sulle serie storiche demografiche ed economiche fornite dall’Università di Groningen, in Olanda, e delle serie storiche dei flussi di emigrazione dall’Italia rese disponibili dall’Istat.

Nel primo caso – gli Usa – possono distinguersi due grandi fasi: la prima, dal 1897 al 1914, nel corso della quale emigrarono circa tre milioni seicentomila persone, e la seconda, dal 1919 al 1929, che vide la partenza di circa 900 mila Italiani.

Ambo le fasi si inquadrarono in contesti demografici fortemente espansivi, in cui la popolazione residente aumentava al ritmo di circa 25 milioni di unità ogni 20 anni secondo una tendenza già consolidata nei decenni precedenti all’inizio delle fasi immigratorie, evidentemente in grado di assorbire senza sconvolgimenti l’afflusso degli immigrati italiani.

Inoltre, gli Stati Uniti erano caratterizzati, nel corso degli afflussi di Italiani, da densità abitative ridottissime, comprese tra 8 e 13 abitanti per km quadrato, offrendo enormi superfici sia per gli insediamenti che per le coltivazioni.

Sul piano economico, il Pil pro-capite, rappresentativo della diffusione della ricchezza, era stabilmente in aumento fin da molto tempo prima e soprattutto dagli anni immediatamente precedenti le fasi immigratorie o coincidenti con l’inizio delle stesse. Complessivamente, il Pil pro-capite, a moneta costante (dollari 1990), quasi raddoppiava tra il 1897 e il 1929, periodo che include ambo le fasi dell’emigrazione italiana verso gli Usa.

Figura_3 -Emigrazione Italiana in Germania

Flussi migratori Italiani in Germania: contesto demografico (alto), territoriale (medio) ed economico (basso)

Nel secondo caso – la Germania – possono nuovamente distinguersi due fasi prevalenti: la prima, dal 1900 al 1914, nel corso della quale emigrarono circa 960 mila persone, e la seconda, molto più tardi, dal 1959 al 1972, che vide la partenza di circa 930 mila Italiani.

Ambo le fasi, e in maggior misura la prima, si inquadrarono in contesti demografici fortemente espansivi, in cui la popolazione residente aumentava al ritmo di quasi un milione di unità all’anno (prima fase) e di oltre mezzo milione all’anno (seconda fase), secondo tendenze consolidate già negli anni o decenni precedenti all’inizio delle fasi immigratorie, e di nuovo in grado di assorbire senza sconvolgimenti l’afflusso degli immigrati italiani.

Sul piano economico, il Pil pro-capite, rappresentativo della diffusione della ricchezza, era stabilmente in aumento fin da molto tempo prima rispetto alle fasi immigratorie, tanto che lo stesso Pil pro-capite, a moneta costante (dollari 1990), aumentava del 30% tra il 1900 e il 1914, e di ben il 60% tra il 1959 e il 1972.

Dal punto di cista territoriale, mentre nella prima fase dell’immigrazione italiana, all’inizio del secolo, la densità abitativa in Germania era ancora limitata, compresa tra 150 e 180 abitanti per km quadrato, negli anni ’60 del secolo scorso questa era aumentata, collocandosi tra 200 e 220 abitanti per km quadrato, anche in ragione della sopravvenuta suddivisione del paese tra Germania Ovest e Germania Est.

Per tutto quanto illustrato, è lecito concludere che l’emigrazione Italiana sia verso gli Usa sia verso la Germania abbia contribuito significativamente alla ricchezza complessiva e specifica delle popolazioni locali, sia per le favorevoli congiunture espansive, sia grazie alle capacità, competenze e intelligenze dei nostri emigranti.

Figura_4 -Immigrazione in Italia

Flussi di immigrati stranieri in Italia: contesto demografico (alto), territoriale (medio) ed economico (basso)

Passando alla situazione dei recenti flussi migratori verso l’Italia, sia le basi dati demografiche ed economiche, sia i dati sui flussi di immigrazione straniera sono quelle fornite dall’Ocse, con il Pil pro-capite calcolato sulla base del valore del dollaro al 2005.

L’immigrazione straniera in Italia si è sviluppata in massima parte dal 1998, accelerando dal 2003 e con un picco tra il 2007 e il 2008, declinando successivamente ma mantenendosi sempre intorno ai livelli del 2003-2006, con il dato del 2014 che potrebbe segnare un nuovo aumento (il condizionale è d’obbligo non essendo ancora disponibili i dati definitivi).

Complessivamente, sono affluiti in Italia almeno cinque milioni e mezzo di stranieri in 17 anni, dato da ritenersi al ribasso in considerazione delle quote di immigrazione irregolare e difficilmente censibili.

La corrente fase di immigrazione si è inquadrata all’inizio in un contesto demografico completamente stagnante in cui, a fronte di una dinamica naturale già negativa dal 1992, i primi flussi di immigrati, prevalentemente dall’Albania e dal nord-Africa, consentivano un marginale incremento della la popolazione residente. È invece proprio dal 2003, con l’enorme incremento del flusso entrante, che la dinamica demografica subisce una fortissima accelerazione, dovuta interamente agli stranieri.

Figura_5-Italia+Germania-fisiche

Geografia fisica dell’Italia (sx) e della Germania (dx)

Inoltre, i correnti flussi migratori verso l’Italia si sono inseriti, alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, in una densità abitativa intorno a 190 unità per km quadrato che, sebbene leggermente inferiore a quella tedesca di 30 anni prima, si traduceva comunque in una relativa saturazione di un territorio geograficamente e orograficamente molto più complesso rispetto a quello dei vicini d’oltralpe, come evidente nelle mappe a lato, nonché estremamente più vulnerabile sul piano idrogeologico e sismico. L’incremento demografico successivo, conseguenza dei flussi immigratori, ha poi determinato un aumento consistente della densità di popolazione, oggi intorno a 205 abitanti per km quadrato.

Una situazione, quindi, completamente diversa da quella caratterizzante le emigrazioni italiane negli Stati Uniti e in Germania, e tale da modificare profondamente la stessa base etnica della popolazione locale, nonché da suscitare preoccupazioni per la stessa disponibilità di territorio e la sicurezza degli insediamenti.

La dinamica della ricchezza è un po’ più complessa: se il Pil pro-capite cresceva ancora nel 1998 e fino al 2001, sebbene a una velocità molto inferiore rispetto agli anni ’80 del secolo scorso, già dall’anno successivo questo dava i primi segnali di cedimento, tanto che l’aumento complessivo registrato dal 2002 al 2007 era del tutto marginale e seguito da un crollo del 12% dal 2008 al 2014, quando si riportava ai livelli del 1996.

Una dinamica, quella sopra esposta, che si differenzia drammaticamente rispetto ai primcipali competitori europei: come si è già ampiamente illustrato su queste colonne, dal 2007, a fronte di una crescita significativa per la Germania e un recupero pressoché completo per la Francia, la ricchezza pro-capite in Italia è crollata da quasi 30 mila dollari a poco più di 26 mila. Tanto che l’analisi a suo tempo effettuata consentiva di stimare che, in assenza dei flussi di immigrati stranieri, il Pil pro-capite nell’anno 2014 sarebbe stato superiore di circa 2500 dollari, cioè circa 2000 euro, rispetto a quanto osservato.

Per concludere, appare evidente che l’immigrazione in Italia, lungi dal portare alcuno dei benefici che invece hanno caratterizzato l’emigrazione degli Italiani all’estero, è stata subita o pianificata da una classe politica scellerata e come minimo completamente ignorante delle dinamiche migratorie del passato.

Adriano Scianca

Francesco Meneguzzo

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12 comments

vin52 20 Maggio 2015 - 8:14

Vorrei aggiungere un semplice commento non derivante da un analisi scientifica ma da semplici considerazioni storiche.
Se è certamente vero che gli italiani sono stati un popolo caratterizzato da una forte immigrazione, specialmente le popolazioni meridionali, con la meta preferita l’America settentrionale e quella meridionale, la stessa cosa può dirsi per i popoli di quasi tutti i paesi Europei: russi, polacchi , tedeschi, scandinavi, spagnoli, greci, irlandesi, scozzesi, ungheresi, portoghesi, baltici e…….. scusate se non menziono tutti gli altri.
Non dimentichiamo che la popolazione che per comodità definirò bianca degli Stati Uniti è costituita per quasi il 50% da tedeschi; la qual cosa non è evidente in quanto molti avevano preferito anglicizzare il loro nome( Schmidt diventava Smith, e via dicendo).
Perfino popoli con grandi o piccoli imperi coloniali come gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale e credo ancora oggi hanno dato luogo a correnti migratorie verso le loro ex colonie (Canada, Australia, Nuova Zelanda e verso gli stessi USA) anche se essi potrebbero essere considerati immigrati di serie A. Gli stessi francesi apparentemente esclusi dal problema data la vastità e quindi la bassa densità abitativa della Francia hanno indirettamente fornito una corrente migratoria come quella costituita dai franco-canadesi verso gli USA. Quindi a mio avviso l’affermazione contestata dagli autori dell’articolo è pienamente condivisibile.
Il problema dell’immigrazione dall’Africa resta certamente un fatto di estrema drammaticità, ma contro nessun fatto drammatico si risolve qualcosa creando mitologie inconsistenti.

Francesco Meneguzzo 20 Maggio 2015 - 10:09

” Quindi a mio avviso l’affermazione contestata dagli autori dell’articolo è pienamente condivisibile.”

Ti giuro, non ho capito. Puoi spiegare meglio cosa intendevi? 🙂

antifuffa83 21 Maggio 2015 - 11:17

Ma davvero gli autori di questo articolo paragonano gli italiani che emigravano in America per migliorare le proprie condizioni di vita con chi scappa dalla guerra? Direi che c’è una notevole e importante differenza…Quelli che rimandavano a casa da Ellis Island non scappavano mica dalla guerra. Tra l’altro in ben due punti dell’articolo si lascia intendere che gli italiani emigrati hanno portato solo benefici all’estero, insomma tutto rose e fiori noi siamo d’altronde i buoni gli altri tutti cattivi. Mai sentito di quella cosa che si chiama “mafia”? Ecco abbiamo esportato anche quella e non solo gente che si faceva il culo a lavorare. Come sempre in ogni etnia ci sono le persone per bene e i delinquenti. Al di là di questo il paragone comunque non regge; è ovvio che gli italiani hanno contribuito erano tempi in cui c’era crescita e lavoro per tutti soprattutto molta manodopera, ecco perché ci sono stati i benefici. Che benefici volete che possano portare degli immigrati senza educazione-studio in tempi di crisi e in un paese dove si ricerca sempre meno manovalanza e più persone specializzate? Direi molto pochi se non nessuno.

Francesco Meneguzzo 23 Maggio 2015 - 3:02

Benissimo, quindi alla fine concordi con le conclusioni dell’articolo 🙂
Tuttavia, che gli stranieri che arrivano in Italia da sud scappino dalla guerra… quali guerre? Dove? In Siria, in Iraq, e poi? In Albania la guerra non c’è mai stata, in Marocco e Tunisia nemmeno, di libici non viene nessuno, in Egitto nessuna guerra, in Nigeria nemmeno, così come in Niger, Ciad, ecc ecc ecc
In quanto alla mafia, mica c’era solo quella italiana anche negli Usa (che poi, come saprai, era affatto tollerata dal governo americano, che se ne servì a piene mani per agevolare l’invasione della Sicilia dove, nel frattempo, la mafia era stata sradicata dal Fascismo che dette carta bianca al Prefetto Cesare Mori).

antifuffa83 23 Maggio 2015 - 4:54

“Benissimo, quindi alla fine concordi con le conclusioni dell’articolo :)”

Quali conclusioni? Sul fatto che la politica sia responsabile di tale scempio? Su questo posso anche concordare, come posso concordare che tutti questi immigrati non possono portare nessun beneficio, ma bisognerebbe anche spiegare il perché non lasciare intendere che quando siamo emigrati noi per i paesi che ci hanno accolto sia stato tutto rose e fiori. C’è poi una sostanziale differenza tra accogliere ed essere accolti. Gestire gente che parte non credo sia un grosso problema politico, mentre gestire migliaia di sbarchi nel nostro paese e farsi carico di tutta questa gente direi che lo è. Anche perché da quello che mi risulta questa immigrazione verso il nostro paese è qualcosa che non è mai successo prima nella storia. Incolpare la classe politica è giusto quindi tenendo conto però pure di questo, quello che non regge è farlo mettendo sullo stesso piano chi parte e chi arriva, situazioni diverse, tempi diversi con problemi diversi.

“quali guerre? Dove? ”

Scusate avete scritto un articolo sulle emigrazioni e dovrei essere io a dirvi in quali paesi c’è la guerra? O_o
Ovviamente ci sono poi anche quelli che si “imbucano” assieme a chi scappa dalla guerra e su questi sono pure io per la tolleranza zero vanno rispediti immediatamente a casa. Se vuoi emigrare per migliorare le tue condizioni di vita lo fai rispettando le leggi e le regole che tutti rispettano. Non ho capito poi cosa c’entri l’Albania…
Per quanto riguarda la mafia stento a credere che sia mai stata “sradicata”, ma non è questo il punto. Il punto era come ho già detto non far passare il messaggio che gli unici emigrati bravi e belli siamo stati noi. Sono situazioni diverse e quindi non vedo come si possano paragonare.

Maurizio 22 Maggio 2015 - 5:59

Serviva davvero questa infarinata per dimostrare che l’Italia di oggi e l’America di un secolo fa sono diverse?

Il senso del parallelismo tra gli stranieri che oggi arrivano in Italia e gli italiani che andavano in giro per il mondo non è economico, o politico. E’ un parallelismo di speranze, ambizioni, sogni e rischi.

Cosi come ora 150 persone salgono su un gommone da 50 e affrontano una traversata infinita in mezzo ai cadaveri dei loro stessi compagni per arrivare in Italia ( o meglio, in Europa, attenzione ), un secolo fa tanti italiani riempivano una valigia di cartone di speranza e coraggio e passavano mesi nelle stive di navi ben poco adatte ad oltrepassare l’oceano.

E cosi come noi italiani venivamo etichettati come sporchi e ladri, e rilegati ai peggio lavori in fabbriche e miniere , cosi africani, albanesi e rumeni che arrivano oggi in italia vengono schifati, maltrattati e sfruttati da persone spregevoli che approfittano della loro fame e della loro speranza.

Ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati perchè ci siamo dimenticati di cosa hanno dovuto affrontare i nostri “padri” per permetterci di vivere una vita tranquilla e felice qua, in casa nostra, senza dover scappare.

Fortunatamente, il fato non lascia niente impunito, e già oggi viviamo il dramma dei nostri migliori cervelli che scappano, in cerca di libertà, armati di una laurea che qua conta 0 e delle stesse speranze di 100 anni fa.

Francesco Meneguzzo 23 Maggio 2015 - 3:04

Perdonami, ma davvero dovresti rileggere l’articolo da cima a fondo. Non sono le condizioni di partenza quelle trattate qui, ma quelle di arrivo. Molto diverso, no?
In quanto a gioire per la “fuga di cervelli”, è un’anti-italianità che si commenta da sola.

ettore 23 Maggio 2015 - 10:01

basta immigrazione,di stranieri e anche di terroni.
che tanto entrambi non sanno neanche parlare l’italiano.
ogniuno a casa propria.

Francesco Meneguzzo 23 Maggio 2015 - 2:57

I “terroni”, come scrivi tu, non sapranno parlare italiano, ma qualcun altro pare non sappia scriverlo. Poi, *ogniuno* può scrivere quello che vuole 😉

Fulvio Mele 27 Giugno 2015 - 12:54

Ma coloro che si imbarcano, non sono forse disperati che rischiano la vita? Magari non tutti scappano da guerre, qualcuno sarà “semplicemente” perseguitato o rischia di morire di fame..

Loro sanno bene quanto sia alta la percentuale di morire in mare, e si imbarcano comunque. Viene citato in un commento il fatto che ad Ellis Island molti venivano mandati indietro, dopo estenuanti viaggi (nei quali il 20% degli imbarcati moriva).. anche per un semplice problema alla vista. Questo non è stato forse un orrore americano? Vogliamo allora commettere gli stessi errori?

E’ molto più facile investire in politiche di intolleranza, di divisione.. piuttosto che in azioni di integrazione. Le prime tra l’altro sono anche più costose.

Trai tanti dati citati, non vedo quello relativo ai 3,9 miliardi di euro netti che gli immigrazione porta nelle casse dello stato. Oltre 300mila sono le imprese in gestione a stranieri, che danno lavoro a stranieri e italiani. E’ vero che gli stranieri che danno tale ricchezza, nell’immediato non sono quelli che giungono con i barconi.. ma lo potrebbero essere nel momento in cui: 1) le forze si concentrino nell’ integrazione e non nella lotta allo straniero. 2) Si mobilitino l’ energie europee.

L’ Italia è sola.. è il peso dell’ immigrazione è eccessivo se l’ Europa fa finta di non vedere. Se la Francia chiude le frontiere, se Germania e Paesi del Nord Europa..(mete della maggior parte degli imbarcati africani) non facciano il proprio ruolo.

MP 26 Maggio 2017 - 11:45

Io a volte resto inorridita da tanta indifferenza. Si parla di “persone”, non di “pacchi”. Affrontano un viaggio che per loro profuma solo di “speranza”. Forse non tutti scappano dalla guerra, ci saranno senz’altro delinquenti mescolati agli onesti, ma quando vedo i filmati degli sbarchi non riesco a vedere nemici, elementi che minano la mia già precaria stabilità economica, vedo solo occhi spaventati, che raccontano un’esistenza triste e di sofferenza. Partire sapendo di non avere la certezza di arrivare… quale madre metterebbe a rischio la vita del proprio figlio se non fosse veramente disperata? Pensate che la loro aspirazione sia quella di vivere a sbafo del paese di accoglienza pagando il prezzo del disprezzo e della diffidenza? Non credo proprio. Se avessero la possibilità di restare nelle loro terre lo farebbero volentieri: l’Europa unita dovrebbe muoversi in questa direzione, senz’altro ci sarebbe anche un risparmio economico. Ma troppi interessi, politici ed economici, gravitano intorno a questo fenomeno, il dio soldo vince sempre, oggi come ieri.

PhillipFum 3 Ottobre 2017 - 3:30

mutmdlb

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