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“Energie per l’Italia”: il progetto di Parisi che puzza di ottocento

by Emmanuel Raffaele
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parisi-megawattMilano, 17 set – “Oggi gettiamo le fondamenta di una nuova piattaforma di governo: una piattaforma liberale e popolare”. Queste, nel giorno di apertura dell’evento “Megawatt. Energie per l’Italia“, le parole di Stefano Parisi, candidato sindaco per il centrodestra alle ultime elezioni amministrative di Milano, sconfitto dal candidato Pd Giuseppe Sala. Scopo della convention, a sentire l’ex manager di Fastweb, è il non certo modesto tentativo di costruire una vera e propria proposta di governo per il paese: “Nel giro di qualche mese”, ha spiegato, “presenteremo un vero programma di governo agli italiani”. “Oggi”, ha aggiunto, “nasce una nuova comunità politica che sta dentro il centrodestra e che vuole dare un contributo, una mano e che non è contro i partiti, ma la politica deve aprirsi perché se si chiude rischia di perdersi”.

Laicità, società civile e liberalismo le parole chiave dell’incontro, partecipato da poco più di un migliaio di persone, a fronte delle quattromila previste alla vigilia. Non particolarmente calorosa la reazione della politica, che dà l’impressione di voler, per il momento, stare a guardare – se per calcolo o reale diffidenza questo si capirà più avanti. Di certo, Parisi, che oggi trarrà le conclusioni, non ha voluto politici tra i relatori e Forza Italia non ha certo partecipato all’iniziativa in forze, nonostante inizialmente si parlasse dell’esplicita volontà di Berlusconi nel progetto di affidare proprio a lui le redini dello schieramento. Nessuna delegazione ufficiale, però, ha preso parte all’evento, mentre erano presenti Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia, il capogruppo di Area Popolare (ex Forza Italia) Maurizio Lupi, l’ex ministro della Salute Maurizio Sacconi e l’ex ministro delle Infrastrutture Claudio Scajola. Tra i primi ad intervenire, invece, è stato Massimo Gandolfini, presidente del “Family Day”, che ha esordito parlando di natalità come “volano per la ricostruzione da un punto di vista socioeconomico”, lanciando l’allarme sull’insostenibilità di uno Stato che non dà centralità alla famiglia e rischia di implodere sotto i colpi della cultura anni Ottanta del Double Income No Kids: “la famiglia è il primo welfare”, ha concluso. Parole, tutto sommato, ragionevoli seguite dall’intervento di Gaela Bernini per la Fondazione Bracco, già esponente di rilievo della Fondazione Milano per Expo. È la società civile di Parisi. Ma l’idea, per metodo e tipologia, non sembra poi così distante dagli esperimenti fallimentari dell’ex presidente del Consiglio Mario Monti. Il filosofo Gilberto Corbellini, che prende la parola subito dopo, infatti, non lesina attacchi di stampo fortemente centrista: “La diffusione di credenze irrazionali gonfia le vele al populismo”. Una stilettata al petto di Matteo Salvini, che intanto, da Pontida, dichiarava: “Piuttosto che stare in strada con gente come quella che c’è oggi alla convention di Parisi è meglio essere soli e orgogliosi“. Staremo a vedere, dal momento che il segretario della Lega ha poi ammorbidito i toni dichiarandosi disponibile al dialogo con tutti, seppur a certe condizioni. Sta di fatto che, già nelle elezioni amministrative, Parisi era appoggiato dalla Lega ed il leader era sempre lo stesso. Lo stesso che non ha mai del tutto chiuso le porte a Berlusconi e che ha fatto ultimamente pensare, nonostante il sostegno alla francese Le Pen, ad un addio fattuale rispetto al progetto sovranista da lui stesso lanciato.

Diversi altri spunti vengono dagli interventi, a cominciare dalle critiche mosse al sistema scolastico – giudicato classista, discriminatorio e di bassa qualità (“la scuola non è un ammortizzatore sociale per i docenti”) soprattutto in certe regioni – da parte di suor Anna Monia Alfieri, presidente della Fidae Lombardia. Un intervento dall’oratoria efficace e sorprendente, che si è distinto per i contenuti ed ha indubbiamente scosso la platea, che le ha regalato una calorosa standing ovation sul finale. Un intervento, dal punto di vista sostanziale, che sembrava vedere la soluzione concreta in una minore autonomia delle regioni; autonomia al centro, invece, del discorso di Carlo Portieri, che ha parlato di “necessità del federalismo” e di quello incompiuto e quindi mai fallito, a suo modo di vedere, realizzato in Italia. Le regioni, spiega, non dovrebbero avere competenze residuali, così come la libertà dei cittadini non può essere ciò che resta delle imposizioni che vengono dall’alto. Individuo al centro, dunque, seppure è singolarmente proprio dall’accusa di individualismo che parte l’incredibile requisitoria di matrice ottocentesca contro il welfare state. Tutto inizia con in collegamento da Londra e la spiegazione dei mali dello stato sociale, che svuota le casse dello stato e si limita a trasferire il reddito da chi ha di più a chi ha di meno, superando così compiti che sono stati e, a quanto pare, per i fan di Parisi, dovrebbero essere propri della società civile e non dello Stato centrale. Basti pensare che, ad oltre un secolo di distanza, si torna a guardare alle società di mutuo soccorso ed alle strutture scolastiche della Chiesa. È qui che il liberalismo di Parisi comincia a puzzare di Ottocento, di privatizzazioni e di privilegi. Ripensando alla frase sul populismo, del resto, tutto torna. Un caso? Dopo il video inglese uno potrebbe anche sospettarlo. Soltanto che , poco dopo, sul palco si sente di peggio: robe del tipo “l’assistenza sanitaria e l’educazione scolastica fornita dallo Stato sono una deformazione della realtà”, “se il privato ruba, il pubblico spreca” o “la politica frena la produttività nella sanità”. Tutto ad un tratto il welfare state, introdotto peraltro in Italia dal Fascismo, appare addirittura “comunista” , cosa che manco Berlusconi o Monti avevano mai osato dire. Se lo stato sociale è in crisi, insomma, è a causa della sua insostenibilità, etica prima di tutto. Discorsi d’accademia, certo. Peccato che qui si sta tentando di costruire il nuovo centrodestra e riferimenti culturali del genere non sono del tutto tranquillizzanti. Parisi, evidentemente, non teme di essere impopolare. O meglio: non teme le conseguenze di una sciatteria democratica che impedisce anche di cogliere il senso devastante delle tesi espresse. Ma, se sulla spesa gli amici di Parisi non sembrano troppo convinti, sul tassare appaiono più sciolti: “l’abolizione dell’Ici è stata troppo frettolosa”. Liberali a targhe alterne.

Interessante, ma un po’ insipido dal punto di vista politico, invece, l’intervento di Maryan Ismail. L’antropologia somala (così si definisce nonostante abbia studiato in Italia fin dalle elementari), mussulman a sufi, ex dirigente Pd, dimessasi a causa dell’elezione in Consiglio comunale di una mussulmana ortodossa, ha spiegato: “L’Islam oscurantista che ci presentano oggi è un’Islam politico”. “Chi scappa dal Corno d’Africa”, ha continuato, “scappa dalle bombe jihadiste”. Diritti dei migranti e si alle moschee non politicizzare, quanto al burkini: “prima le donne che lo indossano dovrebbero riconoscere i diritti di noi che non lo portiamo”. E sull’Islam: “alcuni versetti si possono sospendere per avere un’Islam più spirituale”. Certo, comodo così. Di certo, se questo è il mondo di Parisi, un liberalismo anti-statale e tanta confusione, le premesse non sono delle migliori.

Emmanuel Raffaele

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