Roma, 19 mar – Ricorre, in questi giorni, il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, primo passo per l’avvio di quel processo di integrazione economica e politica che porterà, ai giorni nostri, alla costituzione della Comunità prima e dell’attuale Unione Europea dopo.
Costituiti da due diversi accordi – il Tcee, che istituiva la Comunità economica europea e il Tceea, che dava il via alla creazione della Comunità europea dell’energia atomica – firmati a fine marzo del 1957, i Trattati di Roma rappresentarono, a pochi anni dall’istituzione (nel 1951) della Ceca, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, il passaggio fondamentale per tutti i successivi sviluppi dei rapporti fra le nazioni europee. Le quali, ancora alle prese con i postumi della guerra, cercavano strumenti adatti a gestire i rapporti fra vicini di casa, senza però rinunciare ai rispettivi ambiti di sovranità.
Gli accordi erano infatti specifici, su singole materie come appunto le fonti di energia, il commercio intracomunitario e internazionale, l’introduzione di primi abbozzi di politiche comuni e coordinate in merito a settori come agricoltura e trasporti. Nulla a che fare, comunque, con quel mostro burocratico ed invadente che, con il passare degli anni, l’Ue è diventata.
L’Europa ha indubbiamente conosciuto anni migliori, ma solo perché le collaborazioni multilaterali – nel pieno rispetto, cioè, delle prerogative di ciascuno – rappresentano l’unica strada percorribile. Se è stato possibile, ad esempio, costruire un “modello Airbus” – stiamo parlando dell’unico soggetto al mondo capace di confrontarsi e sconfiggere il colosso americano Boeing, non di un’app capace di durare al massimo qualche anno – ciò non ha nulla a che fare con i dettami della Commissione, con i regolamenti licenziati dal parlamento e nemmeno con le direttive Bolkestein o con l’austerità imposta per salvare la moneta unica.
Perché nel frattempo questo è successo: dopo anni di crisi esacerbata dalle storture comunitaria, a un decennio dalla celebrazione del mezzo secolo dei Trattati di Roma, con il compimento dei sessant’anni dei primi abbozzi di Unione l’età della maturità sta ormai lasciando il posto a quella della vecchiaia. E, se la Fornero ci consente, forse è arrivato il momento di pensare alla pensione per una Ue che da propulsore è diventato un motore che gira a vuoto, zavorra a peso morto. A parte per chi, con lungimiranza come la Gran Bretagna, ha già deciso di darci un taglio netto.
Filippo Burla